La
testimonianza di padre Alessandro Coniglio, biblista e frate minore della
Custodia della Terra Santa
«Si
dirà di Sion: “L’uno e l'altro in essa sono nati”… E danzando canteranno: “Sono
in te tutte le mie sorgenti”» (Sal 87). Il mistero pasquale riempie queste
parole del salmista di un senso infinito quanto è infinito l’amore di Dio
riversato su di noi in Cristo. Vivere questa settimana del memoriale della
passione di Gesù in Terra Santa ha tutto un altro sapore. Per avere un assaggio
di quest’esperienza ci siamo rivolti a padre Alessandro Coniglio OFM, che è
professore di Esegesi dell'Antico Testamento presso lo Studium Biblicum
Franciscanum della Flagellazione di Gerusalemme.
P.
Alessandro vive a Gerusalemme come frate francescano della Custodia di Terra
Santa dal 2002. Oltre gli impegni accademici, è animatore spirituale di
pellegrinaggi dal 2009. È autore, insieme a p. Frédéric Manns, di un volume di
prossima pubblicazione presso le Edizioni Terra Santa, dal titolo: Terra
Santa sacramento della fede. Pellegrinaggio cristiano e cammino della vita.
*
Fra Alessandro, lei ha la grazia di poter vivere da diversi anni la settimana santa nei luoghi dell’Evento e di rendere i pellegrini partecipi di questa grazia. Qual è l’elementare spunto di coscientizzazione che apre gli occhi al turista trasformandolo in pellegrino?
Il
tempo di Quaresima e della Settimana Santa a Gerusalemme è un momento speciale
sotto diversi punti di vista. Il primo è dato dalla grazia di poter celebrare
nei luoghi santi della Redenzione, nei luoghi stessi in cui il mistero, che si
celebra nella liturgia, è avvenuto. Nei santuari di Terra Santa l’oggi (hodie)
della liturgia latina, che attualizza in ogni parte del mondo nell’ora della
mia storia personale l’evento di salvezza commemorato, si lega
indissolubilmente al qui (hic) della geografia della salvezza, che mi fa
essere nel medesimo luogo, che è stato spettatore di quell’evento duemila anni
fa.
A quando risalgono le prassi di pietà e di memoria che sono giunte fino a noi?
Le
liturgie della Chiesa di Gerusalemme, fin da quando ne abbiamo memoria (cioè
fin dal IV secolo, in cui una pellegrina, Egeria, ci ha lasciato il suo diario
di pellegrinaggio in Terra Santa) sono liturgie stazionali, che ripresentano
gli eventi di salvezza nelle diverse ‘stazioni’ geografiche del loro
accadimento storico. In Quaresima in modo particolare, i frati francescani
seguono un cammino di progressivo avvicinamento al mistero pasquale attraverso
un percorso celebrativo che per tappe ci porta anche fisicamente sempre più
vicini al luogo pasquale per eccellenza, il S. Sepolcro.
E concretamente oggi come si svolgono queste stazioni?
Partendo
dalla seconda settimana di Quaresima, ogni mercoledì si celebra una liturgia
solenne in uno dei santuari della Passione: si parte dal Dominus Flevit, sul
Monte degli Ulivi, che ricorda il pianto di Gerusalemme alla vista della Città
Santa (cfr. Lc 19,41-44), poi si scende alle falde del monte, al giardino del
Getsemani, per commemorare la preghiera di Gesù nell’Orto degli Ulivi (cfr. Mt
26,36-46), quindi si celebra la memoria della acerbissima flagellazione romana
subita da Gesù nel Pretorio di Pilato (cfr. Gv 18,38-39.19,1-5) nell’omonima
Chiesa della Flagellazione e quindi, per ultimo, si fa memoria della Via Crucis
nella Chiesa della Condanna, nel luogo del Lithostrotos di Pilato (cfr. Gv
19,16-30). In questa quinta settimana di Quaresima, oltre al mercoledì, c’è una
intensificazione delle memorie liturgiche, e così il venerdì, ormai giunti sul
Calvario, si fa memoria dei dolori di Maria, che stava presso la croce del
Figlio (cfr. Gv 19,25-27).
E adesso che siamo nella Settimana Santa?
Con
questa memoria ha inizio per noi la celebrazione della Settimana Santa, la
“grande settimana”, come la chiamavano gli antichi, nella quale la mimesi
liturgica degli ultimi giorni di vita di Gesù viene rivissuta, dai cristiani
locali come dai pellegrini presenti a Gerusalemme, nei posti originali in cui
hanno avuto luogo.
Così,
la Domenica delle Palme, dopo la celebrazione solenne al mattino nella Chiesa
del S. Sepolcro con il Patriarca latino, vede nel pomeriggio migliaia di fedeli
riuniti nel santuario di Betfage per iniziare una processione che ricalca il
tragitto dell’ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme in un analogo giorno di
duemila anni fa’ (cfr. Lc 19,28-40).
Dovrebbe essere particolarmente pregnante il Triduo pasquale, proprio in riferimento al “hic” di cui parlava all’inizio!
Effettivamente
è così! Nel triduo sacro, la corrispondenza tra celebrazioni liturgiche e
luoghi della salvezza si fa ancora più stretta, perché il Giovedì santo, dopo
che al mattino il Patriarca celebra la Messa crismale nel S. Sepolcro, ci si
ritrova con il Custode di Terra Santa nella sala superiore del S. Cenacolo per
commemorare la lavanda dei piedi, fatta da Gesù nel contesto dell’ultima cena
(cfr. Gv 13,1-15).
Il
Venerdì Santo, siamo sul Calvario, per celebrare il solenne Ufficio della
Passione e dell’Adorazione della Croce salvifica del Redentore. Il Sabato santo
poi, con un certo anticipo di orario rispetto a tutto il resto del mondo,
celebriamo la Veglia pasquale della Resurrezione del Signore davanti
all’edicola che racchiude la tomba vuota di Gesù. Lo stesso si fa la Domenica
di Pasqua.
Un
segno molto significativo di queste celebrazioni è il canto dei quattro Vangeli
della Resurrezione attorno all’edicola, quasi a voler raggiungere i quattro
punti cardinali con l’annuncio che Cristo ha vinto la morte per sempre, o,
secondo l’augurio pasquale che ci si scambia qui in Oriente, che “Cristo è
risorto! Sì è veramente risorto!”.
Alla
gente arrivano spesso – e purtroppo – storie (e ormai anche video) di liti
intorno ai luoghi del Cristo risorto «nostra pace». Qual è invece il messaggio
che le preme che arrivi a chi partecipa e a chi sogna di partecipare a una
Pasqua nella Terra Santa?
Per
me, come frate francescano della Custodia di Terra Santa, è una grande grazia e
un profondo motivo di gratitudine a Dio, la possibilità che mi è data di vivere
in questo modo i tempi forti dell’anno liturgico. Essi acquisiscono qui una
intensità, una vividezza, che altrove non è dato di sperimentare. Certo, c’è
anche confusione a volte, c’è la difficoltà della convivenza al S. Sepolcro con
cristiani di altre confessioni che seguono un calendario liturgico differente
dal nostro, e con le esigenze dei quali si devono a volte ‘incastrare’ le
nostre celebrazioni. Ma alla fine resta soprattutto il gusto unico di aver
potuto rivivere i misteri della salvezza, e in special modo, della passione,
morte e risurrezione di Gesù, nei luoghi stessi che furono testimoni di quegli
eventi di grazia, e con quelle comunità cristiane che sono eredi dei primi
testimoni degli stessi eventi.