Che Jorge Maria Bergoglio sia un
personaggio carismatico è fuori dubbio, ma il carisma non è che un tratto
umanamente auspicabile in un papa. Ciò che non dovrebbe mancare è il
radicamento teologico. In un libro uscito in contemporanea con il secondo
anniversario dell’elezione di Papa Francesco, il cardinale Walter Kasper
presenta un tentativo di approssimazione al «fenomeno Francesco dal punto di
vista teologico del pontificato, evidenziando le nuove prospettive che si
aprono».
Il volume Papa Francesco. Larivoluzione della tenerezza e dell’amore edito dalla Queriniana per la
collana “giornale di teologia” consta di una premessa, dodici capitoli e una
conclusione a mo’ di prospettiva verso il futuro. Kasper offre un contributo
apprezzabile volto a mostrare il radicamento teologico nella grande tradizione
delle novità di papa Francesco. Già all’inizio del libro Kasper spiega,
infatti, che «la sorprendente novità della sorpresa rappresentata da questo
papa non consiste in alcune innovazioni, bensì nell’eterna novità del vangelo,
che è sempre lo stesso e tuttavia di continuo sorprendentemente nuovo e
perennemente attuale», proprio perché Gesù è il Vangelo eterno e «la sua
ricchezza e la sua bellezza sono inesauribili» (EG 11).
Innovazione “radicale”
L’innovazione di Francesco si
radica nella tradizione, ma con una convinzione importante: quella che la
tradizione tramanda la brace non le ceneri. Francesco viene dalla scuola della
teologia kerygmatica. Per questo – spiega Kasper – egli non è «un francescano
mascherato; egli è in tutto e per tutto un gesuita». Nello spirito di
sant’Ignazio, Francesco non parte dalla dottrina, ma dalla situazione concreta
e applicando le regole del discernimento spirituale perviene a decisioni
concrete.
Francesco fa teologia in contesto
e nella sua teologia contestuale egli «vuole illuminare la situazione della
chiesa e del cristiano nel mondo attuale a partire dal vangelo. Qui la fede
cristiana non è un’ideologia che vuole chiarire ogni cosa; essa non è
paragonabile ad una luce artificiale che illumina tutto il corso della nostra
vita; è piuttosto come una lanterna che ci fa luce nel cammino della vita nella
misura in cui noi stessi andiamo avanti».
È di eloquente profondità la
visuale sulla fede enunciata nella Lumen fidei: «La fede non è luce che
dissipa tutte le nostre tenebre, ma lampada che guida nella notte i nostri
passi, e questo basta per il cammino» (LF 57).
Primato del Vangelo
Il radicamento di Francesco va
alla radix del vangelo che è l’annuncio lieto dell’amore di Dio
all’uomo. Sulla scia di Tommaso – citato esplicitamente in Evangelii gaudium
37 e 43 – Francesco ribadisce che il vangelo «non è una legge scritta, non
un codice di dottrine e precetti, bensì il dono interiore dello Spirito Santo,
che ci viene dato con la fede e che opera nell’amore». Le leggi e le
prescrizioni sono secondarie e hanno il compito di indirizzarci al dono della
grazia o a farla fruttare. (cf. Summa theologhiae I-II q. 106 a. 1 e 2).
Questo primato del dono di Dio e
dell’amore di Dio è il cuore dell’annuncio di Francesco. Con esso, papa
Bergoglio si colloca nella scia della tradizione e soprattutto nel solco dei
grandi papi recenti che l’hanno preceduto (cf. Paolo VI, Evangelii nuntiandi;
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio; Benedetto XVI, Porta fidei).
L’accentuazione fondante e
fondamentale del contenuto evangelico non costituisce nell’insegnamento di
Francesco una deriva pietistica o arbitraria giacché il principio cristico non
è esclusivo, ma inclusivo. Cristo è – per usare il gergo di von
Balthasar – l’universale concretum personale, colui che offre la sintesi
dell’uomo e di Dio e la chiave ermeneutica di tutte le esperienze dell’umano.
Miserando atque eligendo
Lo stemma episcopale
dell’arcivescovo di Buenes Aires è stato spiegato e dispiegato già durante il
suo primo angelus da Pontefice. Parafrasato, lo stemma, ispirato a Beda il
Venerabile, è una lezione sulla vocazione: «Guardandomi con gli occhi della sua
misericordia, egli mi ha scelto». Nel primo angelus del 17 marzo 2013,
Francesco ha ricordato che Dio «mai si stanca di perdonare, ma noi, a volte, ci
stanchiamo di chiedere perdono». Tommaso d’Aquino ci ricorda che la
misericordia è il volto della natura divina rivolto verso l’esterno (cf. STh
I q. 21, aa. 3ss).
Anche qui, Francesco è non solo
nel cuore dell’insegnamento biblico sulla grazia e sulla graziosità di Dio, ma
anche nella scia dei suoi predecessori (cf. Giovanni Paolo II, Dive sin
misericordia; Benedetto XVI, Deus caritas est).
Kasper spiega che l’importanza
data alla misericordia come principio ermeneutico della fede perché, essendo
essa la più fondamentale delle proprietà di Dio, essa pone di fatto al centro
della riflessione e dell’esperienza cristiana Dio stesso.
Il volume di Kasper prosegue
prendendo atto della rinnovata prospettiva ecclesiastica di Papa Francesco, una
ecclesiologia che pone al centro della sua esplicazione l’immagine biblica e
conciliare della Chiesa come “popolo di Dio”. È alla luce di questa ermeneutica
ecclesiale che si possono e si devono capire le posizioni di Papa Bergoglio sia
in ambito intra-ecclesiale sia in ambito extra-ecclesiale in relazione agli
altri cristiani e alle altre religioni.
Dopo due anni di pontificato,
possiamo affermare che il messaggio teologico grande di Francesco è quello di
«vivere nella verità». Ciò che colpisce nella sua figura, infatti, è il vivere
in prima persona il suo annuncio, quello di una Chiesa che proclama e incarna
il primato di Cristo, una Chiesa povera per i poveri. Il suo è un programma
profondamente teologico perché radicato nella logica evangelica delle
beatitudini.