Cari amici di theologhia.com, ecco a voi il quinto dei sette estratti dal libro Un Dio umano per pregare i momenti fondamentali della vita di Gesù . Dopo il primo elemento del trittico della passione di Cristo - la lavanda dei piedi - ecco a voi l'Eucaristia.
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«Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima
della mia passione» (Lc 22,15). La vita
di Gesù è orientata al dono totale di sé. Questa è infatti l’essenza profonda
della rivelazione: non la comunicazione di regole morali o di dogmi, ma l’autocomunicazione
di Dio in Gesù Cristo per opera dello Spirito Santo. L’amore «fino alla fine»
si concretizza nella sua forma suprema e totalizzante: «Nessuno ha un amore più
grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13).
Gesù dona se stesso
nel pane e nel vino. Per capire il gesto bisogna entrare nella logica dell’antropologia
biblica. Il corpo non è soltanto la carne nella sua distinzione dall’anima e
dallo spirito. Il corpo è tutta la persona, è l’io in tutta la sua realtà e la
sua capacità di presenza. «Questo è il mio corpo» significa: ecco, vi do tutto,
tutto me stesso, senza riserve, senza condizioni.
Il sangue è il simbolo
della vita. Non è un segno debole, come un segno stradale convenzionale. È un
segno forte, un sacramento, che porta e incarna la realtà che simboleggia. Il sangue,
infatti, non solo indica la vita, ma è la vita. Un corpo senza sangue è un
corpo senza vita. «Questo è il mio sangue» significa: ecco, vi do tutta la mia
vita, ogni battito del mio cuore. Nel vino riceviamo colui che disse di sé: «Io
sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6).
Un altro aspetto da
cogliere in quest’autodonazione di Gesù è il nesso nuziale. Gesù anticipa le
nozze della croce nel dono del suo corpo e del suo sangue nell’ultima cena. A
ragione Timothy Radcliffe accosta l’ultima cena e la sessualità. Gesù offre il
suo corpo, si rende dono, proprio come si fa nell’amore. C’è una grande
somiglianza tra quello che si dice dell’unione tra uomo e donna in Genesi – «L’uomo
lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica
carne» (Gen 2,24) – e quello che significa ricevere il corpo di Cristo: «Chi
mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» (Gv 6,56). È
un rapporto corpo a corpo, vita a vita.
Il corpo in genere è
opacità, è distanza e differenziazione. È principio d’individuazione: mi rende
«io» e non altro, e ti rende un «tu» irriducibile a me o a chiunque altro. Il
corpo rende l’interiorità difficilmente accessibile, ci permette di fingere.
Non posso vedere dentro l’altro e neppure totalmente dentro me stesso. Nel dono
di sé, il corpo diventa più trasparente, più comunicante, diventa un luogo di
comunione e d’incontro.
Nel dono totale di sé,
Gesù diventa trasparenza, non solo sulla propria interiorità come l’uomo Gesù
di Nazaret, ma trasparenza sul cuore di Dio Padre che «ha tanto amato il mondo
da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma
abbia la vita eterna» (Gv 3,16).
Il dono di sé di Gesù
nell’eucaristia anticipa quello che accadrà sulla croce. La vita di Gesù non
viene strappata dai carnefici, perché è stata donata in anticipo con amore nel
pane e nel vino: «Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi
riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere
di darla e il potere di riprenderla di nuovo» (Gv 10,17-18).
Chi mangia questo pane
con fede si unisce a Cristo. Così il pane eucaristico diventa principio di
unione e riunificazione dell’umanità dispersa e separata. La Didaché (insegnamento
dei dodici apostoli), un testo antico che risale probabilmente al I secolo
d.C., offre una metafora significativa in forma di preghiera: «Nel modo in cui
questo pane spezzato era sparso qua e là sopra i colli e raccolto divenne una
sola cosa, così si raccolga la tua Chiesa nel tuo regno dai confini della terra».
Il pane eucaristico, come dono d’amore, unisce non solo l’uomo
a Cristo, ma gli uomini tra di loro, perché l’amore è una forza unitiva.
Quando mangiamo il pane normale lo assimiliamo alla nostra
essenza, quando mangiamo il corpo di Cristo siamo noi ad essere assimilati e
trasformati in Cristo. Agostino mette
sulla bocca di Gesù queste parole: «Io sono il cibo dei forti. Cresci e mi
avrai. Tu non trasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu a
essere trasformato in me».
Questa trasformazione in potenza richiede l’atto della
nostra volontà e della nostra adesione affinché veniamo sempre più conformati
alla grandezza dell’amore e del dono di Cristo. Più la vita è compenetrata dall’amore,
più la grazia dell’eucaristia diventa carne della nostra carne e sangue del
nostro sangue.