Sono passati due anni dalla
rinuncia di papa Benedetto XVI e dall’elezione di papa Francesco. Due anni
carichi di novità e di inediti storici. In quest’intervista, la
giornalista libanese Hala Homsi, specialista dal 1995 in questioni religiose
per il giornale Annahar ci presenta la sua lettura di questa pagina della
storia della Chiesa Cattolica.
Qual è la sua lettura
dell’evento storico della rinuncia di Benedetto XVI a due anni dal suo
avvenimento?
La rinuncia di papa Benedetto è
un evento più che storico. Il Papa ha suscitato un vento di riforma nella
Chiesa, più di ogni discorso riformatore, incarnando un coraggio senza
precedenti. Con questa rinuncia ha aperto una nuova prassi cambiando una
tradizione che tocca la posizione stessa del Pontefice, attraverso un gesto che
non avveniva da secoli.
Il minimo che si possa dire è che
la sua scelta abbia manifestato la sua personalità: l’umiltà del grande
teologo, il coraggio del pensatore, l’indole dello scrittore prolifico che ha
preferito di riposare tra i suoi libri piuttosto che proseguire con il ritmo
faticoso per lui e per la Chiesa. Ha agito sulla scia degli uomini liberi. È un
papa libero.
È stato colto la motivazione
“benefica” della rinuncia secondo lei?
Forse la rinuncia è stata fatta
per motivi di salute. Ma ciò che ha fatto non era una cosa facile. La sua
rinuncia ha messo alla prova la solidità della Chiesa, con una situazione
inconsueta: quella della presenza di due “papi” in Vaticano. Con la presenza di
nostalgici che inneggiano ancora per il pontefice dimissionario.
Un altro aspetto interessante
della rinuncia di papa Benedetto è che, seppure sia avvenuta oltre due anni fa,
essa è lungi dall’essere archiviata. Tale fatto ha spinto il suo segretario
personale, mons. Georg Gänswein, a chiarare – il 12 febbraio 2015 – che la
rinuncia di Ratzinger «è avvenuta senza alcuna pressione esterna», e questo in
seguito a indiscrezioni, secondo cui il papa avesse rinunciato sotto pressione.
Tale sospetti sono naturalmente sollevati da intenti malevoli, frutto dello
scontento di alcuni verso il pontificato di Francesco. Resta però è che la
rinuncia è stata fatta da un uomo forte, non da un uomo debole.
Il pontificato di papa
Francesco rappresenta per alcuni una «primavera evangelica» nella Chiesa. Lei è
di questo parere?
La forza di papa Francesco
consiste nella sua capacità di abbassare il papato verso i credenti e
nell’avvicinare la Chiesa al suo popolo e ai poveri. E ciò è avvenuto dal primo
istante della sua elezione. È una rivoluzione nel papato. Papa Francesco vive
ciò che crede, anche se questo dovesse richiedere la rottura dei protocolli e
delle prassi. Ciò è stato manifesto sin dall’inizio e i credenti hanno toccato
con la mano come il Papa opera, e come incarna il Vangelo davanti a loro.
La forza di Francesco è il suo
essere prossimo ai poveri. È un Papa che riconcilia la Chiesa con il popolo e
che ricorda agli ecclesiastici “la Parola” e li riporta alle fonti. Per questo
è il Papa che ripulisce il volto della Chiesa dopo gli scandali che l’hanno
macchiata.
Primavera evangelica? Per tanti è così. E da una prospettiva
giornalistica, vedo che papa Francesco sta innestando nel corpo ecclesiale un
grande spirito di rinnovamento. La domanda che rimane però: quanto lo
lasceranno fare? Riuscirà a portare a termine la sua impresa riformatrice?
Senza dubbio, la sua missione non sarà facile affatto.
Cosa pensa, invece, di chi
accusa Bergoglio di essere “un comunista”?
Sono solo chiacchiere dispersive.
Magari i comunisti fossero come papa Francesco! Sarebbero stati chiamati
“evangelici” (in riferimento al vangelo)! Sta di fatto che il Papa ha
sostenitori e oppositori. Ha nemici nella Curia, nella Chiesa e fuori di essa.
Il suo stile riformatore non piace a tutti. Le accuse che gli sono rivolte,
come quella di comunista, caotico o “distruttore della dignità del papato” sono
tentativi dispersivi che tradiscono un riconoscimento della battaglia
riformatrice che il Papa sta portando avanti.
Papa Francesco ha dedicato
particolare attenzione al Medio Oriente. Ricordo a mo’ d’esempio la preghiera
per la pace in Siria, la visita in Giordania e Palestina (riconoscendo de facto
lo stato palestinese), la preghiera con il presidente palestinese e il
presidente israeliano in Vaticano. Come riassume l’immagine che si rispecchia
in Medio Oriente?
Papa Francesco ha una grande
popolarità in Medio Oriente, specialmente in Libano. È amato dal popolo e la
sua figura è onnipresente. Cristianamente parlando, le sue omelie quotidiane e
le sue tante attività sono molto seguite, specialmente grazie alla copertura
dei media cristiani che non si attardano a riportare le sue attività e le
celebrazioni che presiede.
Da un punto di vista musulmano, è
un leader religioso molto rispettato per la sua parola e per le sue posizioni.
Se i libanesi potessero esprimere un desiderio, il loro desiderio è quello che
papa Francesco visiti il Libano, come hanno fatto papa Benedetto e San Giovanni
Paolo II. Tale visita porterebbe un grande frutto alla nazione.
Considerando i drammi che sta
vivendo il Medio Oriente e non solo, quali iniziative auspicate da parte del
Santo Padre?
V’è nei cuori un timore grande
per il futuro, a causa dell’espansione dell’Isis e della sua ferocia. I
cristiani sono diventati “progetti” di martirio pronti all’esecuzione. Sono
stati dispersi, derubati delle loro case, le loro terre. È normale che i
cristiani abbiano bisogno di protezione nelle loro stesse terre d’origine?
Il Santo Padre ha fatto grandi
iniziative. Egli continua ad essere la voce forte dei cristiani di fronte alla
comunità internazionale. È anche importante che sostenga i cristiani di lingua
araba nelle loro terre d’origine, attraverso progetti e iniziative che
rafforzano la loro presenza. Un esempio potrebbe essere la promozione dei media
cristiani che hanno un grande ruolo nella diffusione della parola, nel
consolidamento dei cristiani e nella loro crescita. È senza dubbio l’ora di
lavorare, e il lavoro è tanto.