Vita e spiritualità delle chiese ortodosse orientali
È quasi normale per la koiné culturale identificare i
cristiani orientali con uno dei due grandi patriarcati d’Oriente:
Costantinopoli e la Russia. Quest’identificazione è aiutata dal nome generico
«ortodossi». In realtà, i cristiani d’Oriente si distinguono in varie
tradizioni molto più vaste e che non fanno capo a nessuno dei due patriarcati. Seppure
siano chiamati tradizionalmente «ortodossi orientali», queste comunità che
fanno parte di chiese antichissime, hanno delle tradizioni, delle gerarchie,
delle liturgie, delle prassi e della letteratura che fanno di ognuna di loro
una realtà ecclesiale chiara e distinta.
Nel libro Vita e spiritualità delle chiese ortodosseorientali. Delle tradizioni siriaca, armena, copta ed etiopica, Christine
Chaiollot – una studiosa svizzera ortodossa (appartenente al Patriarcato di
Costantinopoli) – offre una panoramica su cinque chiese ortodosse: La Chiesa
siriaca ortodossa; la chiesa siriaca ortodossa malankarese dell’India; la
chiesa armena apostolica; la chiesa copta ortodossa; la chiesa etiopica
ortodossa.
Ognuna di queste chiese ha delle qualità uniche. La chiesa
sira, ad esempio, nata nella Mesopotamia, parla ancora una lingua imparentata
con l’aramaico usato da Gesù. Gli armeni, invece, appartengono al primo regno
cristiano nella storia, nato agli inizi del quarto secolo. Il cristianesimo
copto è antico e risale tradizionalmente alla predicazione dell’evangelista
Marco. Gli etiopi fanno parte dell’antica evangelizzazione del nord-ovest africano
che risale al IV secolo. Far conoscere queste tradizioni che rischiano di svanire
sotto i colpi di una persecuzione che si fa sempre più violenta, fondamentalista
e sistematica non è solo un’esperienza di cultura, ma un gesto di
sensibilizzazione verso tradizioni quasi bimillenarie che muoiono più per la
nostra indifferenza che per l’ostinazione dell’oppressore.
Storicamente, queste tradizioni «ortodosse» non fanno parte
delle chiese ortodosse nato dallo scisma del 1054. La loro nascita risale
invece ai tempi del concilio di Calcedonia (451). Per motivi linguistici – resi
più chiari nei tempi recenti grazie a un grande lavoro di dialogo ecumenico – e
per motivi di circostanze storiche (ad esempio gli armeni non hanno partecipato
al suddetto Concilio perché erano impegnati in una lotta contro i persiani
proprio a difesa della loro fede cristiana dall’invasore zoroastrista!), questi
cristiani non hanno accettato le decisioni di Calcedonia e per questo sono
stati anche denominati pre-calcedonesi. Erroneamente sono stati chiamati
nestoreani, eutichiani, giacobiti, monofisiti, ecc. Ma le chiese stesse non si
sono identificate con questi nomi e il suddetto dialogo ecumenico ha
manifestato che la loro fede – seppure con sfumature linguistiche diverse
dovute a ogni lingua – coincide con la professione di fede della Chiesa
universale.
In alcune epoche, vi è stato un avvicinamento tra queste
chiese e la chiesa cattolica. Un esempio è il tentativo d’unione tra la chiesa
siriaca ortodossa e la chiesa di Roma
nel 1656. Fu un’unione breve durata fino al 1721. La ripresa della comunione
ecclesiastica è stata ripresa con l’arcivescovo siro-ortodosso di Aleppo,
Michele III Jarweh, che aderì alla chiesa cattolica romana e nel 1783 fu
nominato primo patriarca siro-cattolico.
In breve, il volume di Chaillot è una sostanziosa
introduzione a vari aspetti di queste chiese importanti che arricchiscono il
panorama “cattolico” con volti, sentori e sentieri di liturgia, vita e
spiritualità. Tradizioni che non basta conoscere, ma che bisogna impegnarsi a
proteggere nelle loro terre d’origine e nella diaspora.