In un mondo contraddittorio dove
abbondano i mezzi di comunicazione per renderci sempre più soli, suonano di
eclatante attualità le parole di Martin Buber: «Senza l’esso l’uomo non può
vivere. Ma colui che vive solo con l’esso, non è l’uomo»*. L’uomo ha bisogno
delle cose, in un modo o nell’altro ne fa uso, ma fa un grande torto a se
stesso se il suo mondo si riduce al “dialogo” (impossibile) con le cose.
Io-esso e io-tu
Nel rapporto con le cose la vita
si esprime in termini transitivi. Qualcosa è l’oggetto del mio intento. È il
regno dell’esso, il regno degli utensili e dell’utile. Questo regno dei mezzi
non ci permette di realizzare la nostra totalità. Chi limita la sua dimora ad
esso rimane a metà.
Soltanto quando vediamo oltre la
dimensione dell’esso la dimensione del tu, il nostro mondo inizia ad essere
realmente abitato, orientato verso un compimento, anzi, desideroso di pienezza.
Quando diciamo tu, non stiamo più
nel regno dell’utile, del mezzo. Siamo già nella dimensione dell’“in-utile”,
della gratuità e della complicità. «Chi dice tu – scrive Buber – non ha alcun
qualcosa, non ha nulla. Ma sta nella relazione (Bezeihung)». È qui la
linea di demarcazione tra l’esperienza io-esso e l’esperienza io-tu.
Divento io nel tu
La relazione io-esso è
essenzialmente unidirezionale, quella dell’io-tu è reciprocità. Il tu non è
oggetto di sperimentazione, di lui si conosce il «tutto» perché non ci si
sofferma più sul particolare.
Il dominio della vita dell’uomo è
la parola e come nel simbolo di Genesi 2, è l’altro che suscita la parola
significativa ed entusiasta dell’uomo. La parola non diventa più un’etichetta,
ma una dimora. Nella parola troviamo quello spazio vitale dove il suono diventa
comunicazione e comunione. «Divento io nel tu; diventando io, dico tu. Ogni
vita reale è incontro».
L’uomo diventa io a contatto con
il tu. Il mondo non ci dona la possibilità piena di personalizzarci. Solo il
contatto con il tu fa fiorire l’essenza dell’io. Scrive magistralmente Buber: «Il
mondo è lì, vicino alla tua pelle, se vuoi, o, se lo preferisci, rannicchiato nella
tua anima: è il tuo oggetto, rimane a tuo piacere, e ti rimane fondamentalmente
estraneo, fuori e dentro di te. Lo percepisci, ne fai la tua “verità”: si
lascia prendere da te, ma non ti si dà. Solo riguardo al mondo puoi “capirti” con
gli altri; il mondo, anche se si mostra a ognuno in modo differente, è disposto
a essere il vostro oggetto comune: ma in esso non puoi incontrare l’altro. Senza
il mondo non puoi continuare a vivere; la sua affidabilità ti sostiene, ma se
in esso dovessi morire, saresti sepolto nel nulla».
Dal tu al Tu
Un altro passaggio importante
della riflessione/osservazione buberiana è il salto, l’apertura dell’orizzonte.
Il tu è fondamentale, ma non è il fondamento. Il tu non è un mezzo, ma non è
neppure il Fine ultimo. Ogni tu è un compagno di cammino verso il Fine ultimo. Nell’ordine
del mondo, nell’ordine degli affetti, nell’esso e nel tu c’è un appello infinito
e una promessa di felicità che né l’esso né il tu possono realizzare. In ogni
sfera, in ogni cosa, in ogni volto, «lanciamo uno sguardo al margine del Tu
eterno, in ognuna ve ne cogliamo un soffio, in ogni tu ci appelliamo al Tu
eterno, in ogni sfera secondo il suo modo».
In ogni incontro con un tu c’è la
grazia di un annuncio e la malinconia di un congedo preannunciato. Nessun incontro
è totale, nessun incontro è eterno. Tutto conduce all’orizzonte, al Tu «in cui
si intersecano le linee, parallele, delle relazioni». In un certo senso, il
mondo «non ti aiuta a rimanere in vita, ti aiuta solo a presentire l’eternità».
Abbi il coraggio di vedere il Futuro, l’Ad-veniente che si fa presente in un
ogni presente.
* La presente riflessione è
fatta in dialogo con il volume Il principio dialogico e altri saggi di
Martin Buber edito dalla San Paolo (terza edizione in brossura 2014).