Cari amici,
con questo post, vorrei lasciarvi con un estratto (piccolo... ma non tanto!) sull'umore, il senso di relatività della nostra esistenza umana, sulla serietà di non prendersi troppo sul serio. Vorrei che sia un augurio per riposare, per entrare in quel "sabato" che Dio ci ha preparato in Cristo, non fatto solo di vacanze soleggiate (c'è chi non può per mancanza di fondi, chi per allergia al sole, chi perché il lavoro non accenna tregua).
Il riposo può essere un cambiamento di ritmo e di stile di vita. La cosa sicura è che esso si radica in un cambiamento di mentalità (oso parlare di metanoia-conversione!).
Il testo è tratto da Alla presenza di Dio. Per una spiritualità incarnata, pp. 136-140).
In fondo, potete trovare il video della puntata sul "riposo e il gioco" in cui sono stato ospite del programma Il diario di Papa Francesco a TV2000.
*
L’eroismo dell’umorismo si concretizza nella capacità di prendere le
distanze e di scegliere il proprio atteggiamento verso le situazioni e
soprattutto verso se stessi. «L’umorismo è una facoltà specificamente umana
proprio perché presuppone che l’uomo possa ridere, e possa ridere anche di se
stesso, delle sue angosce». Ridendo dei propri sintomi, l’uomo li trascende.
L’umorismo è la capacità di vedersi assolti dall’onore e dall’onere
auto-inflitti di essere assoluti. È prendere atto della propria limitatezza,
relatività e incapacità di essere all’altezza del proprio anelito e della
propria realizzazione e, in tal modo, paradossalmente, mettersi nella
disposizione giusta per riuscire, rialzarsi e realizzarsi nel proprio piccolo.
L’umore è un lubrificante che rende agile la coordinazione dei meccanismi
della vita. Esso esprime una libertà interiore, un distacco dalla propria
pretesa assolutezza, per inserirsi più oggettivamente nella propria vita
soggettiva. È in sé un’agilità in-tensione che sa giocare con serietà senza
dimenticare la serietà in ogni gioco. «Non vi è infatti gioco senza profonda
serietà e perfino i bambini giocando si addentrano con forza quasi mitica nel
magico cerchio del dovere assoluto e nell’ombra di un possibile smarrimento».
A volte, nella vita, il gesto più «eroico» è quello «ironico». Quando siamo
dinanzi alle macerie di un sogno, dobbiamo essere abbastanza ludici per
rimanere lucidi e riprendere – come infanti – la ricostruzione della nostra
biografia, della nostra realtà.
Guardare ai bambini che imparano a camminare è una grande scuola di
tenacia. Il fallimento è una tentazione alla quale si cede quando si rinuncia a
tentare, e questo avviene quando ci si prende troppo sul serio. Quando uno è
disposto a prendersi gioco di se stesso, rialzarsi diventa quasi un gioco da
bambini.
Se con la redenzione Dio ricrea l’universo e ricrea il nostro cuore,
bisogna riconoscere che la ri-creazione è pur sempre un’esperienza
ludica di distensione che esprime umore e amore allo stesso tempo. Dio ci
redime perché ci ama, e ci perdona perché non prende totalmente sul serio le
nostre cadute (questo è ben diverso dal non prenderci sul serio!). Per questo
bisogna riconoscere che vi è una seria affinità tra lo spiritoso e lo
spirituale, l’ironico e l’eroico, l’umore e l’amore. D’altronde, anche la
chiamata di Dio, in tutta la sua serietà e totalità, è piena di motivi
paradossali, ironici e ludici: Dio ci offre la sicurezza invitandoci a correre
rischi; esige che maturiamo invitandoci a diventare come bambini; ci chiama
alla felicità portando la sua croce e seguendolo; ci invita alla vita in
abbondanza attraversando la morte a noi stessi.
Elmar Salmann spiega che l’umore è un elemento indispensabile affinché
l’idea della fede non degradi in ideologia. Esso genera e custodisce un
equilibrio fecondo che il monaco benedettino riassume in queste polarità: una
sovranità che non è autonomia fredda, un autodominio che non sa di forzatura,
un senso di relatività che non è relativismo e nichilismo, «essere veritieri senza
fanatismo, dediti al bene senza moralismo, inclini al bello senza essere
esteti,… malinconici senza depressività, ilari senza baldoria o melensaggine,
orgogliosi senza alterigia» . L’humour si manifesta come «un piccolo sacramento
della grazia, uno spiraglio per l’avvenire di Dio in mezzo agli uomini» .
L’homo ludens è la sintesi
sostenibile dell’uomo. Fosse solo ludens sarebbe una comica e
insignificante versione di sé, uno spettacolo inutile. Fosse solo homo sarebbe
un disperato, perché più che risposte la vita non fa che regalarci domande.
Nella stessa linea, san Francesco di Sales sostiene l’esigenza della gioia
nella santità perché «un santo triste è un tristo santo». Non siamo dinanzi a
un’allegria epidermica, si sta parlando della gioia che è una realtà profonda,
radicale e che è «sorella della serietà» . L’homo ludens «è sintesi, colui che
‘serio e sereno’, umorista disinvolto, sa sorridere anche tra le lacrime e
trova in fondo a tutta la serenità terrena la faccia dell’insoddisfazione.
Questa seria serenità (umorismo è una bella parola consunta anzi abusata) si
libra tra cielo e terra» . In questa sintesi l’uomo si protegge dagli estremi,
dove la serietà degenera in tristezza e la ludicità in sfrenatezza.
L’homo ludens coglie
l’ambivalenza dell’esistenza che è «lieta (perché raccolta in Dio) e tragica
(perché pericolosamente libera)» . Per questo l’homo ludens è sapiente.
Nel suo umorismo riconosce la relatività di ogni realtà terrena sullo sfondo
dell’Assoluto, e la sua frammentarietà rispetto a un orizzonte perfetto.
«L’homo ludens è perciò un uomo serio perché conosce contemporaneamente tanto
il significato quanto la non-necessarietà della sua esistenza reale».
Saggiamente e con stile sa distendersi per rinforzare la sua
concentrazione. Allenta dolcemente e tende il rigore del proprio spirito . Il
gioco per lui si presenta come allentamento e come allenamento dell’anima, come
un pre-ludio alla serietà e alla saggezza che non pecca di smoderazione.
L’Assoluto ci relativizza, ma proprio per questo ci apre alla relazione. Ci fa
stare con i piedi per terra e, proprio per questo, ci rende “papabili” per il
Cielo.
È abbracciando il limite della nostra umanità che ci apriamo alla
redenzione perché – se l’inganno più grande a cui cede l’uomo è il prometeismo,
ovvero credere di potersi divinizzare da solo, rubando la divinità – alla
salvezza ci si apre riconoscendosi bisognosi della gloria di Dio (cf. Rm 3,23),
della sovrabbondanza della sua Grazia. Ci si apre al Dono di Dio,
riconoscendosi “marianamente” servi e ancelle del Signore, redenti, salvati e
resi beati dallo sguardo posato sulla nostra umiltà (cf. Lc 1,48). L’umore ci
apre all’accoglienza dell’amore di Dio perché ci fa comprendere l’insufficienza
dei nostri progetti, delle nostre imprese e delle nostre elucubrazioni che non
solo non colgono l’essenza di Dio, ma neppure l’essenza di noi stessi.
L’uomo pensa. Dio ride.
[…] Ma perché Dio ride guardando l’uomo che pensa? Perché l’uomo pensa e la
verità gli sfugge. Perché più gli uomini pensano, più il pensiero dell’uno si
allontana dal pensiero dell’altro. E infine perché l’uomo non è mai ciò che
pensa di essere. E appunto all’alba dei Tempi moderni si manifesta questa
situazione fondamentale dell’uomo, uscito dal Medioevo: Don Chisciotte pensa,
Sancio pensa, e ad entrambi sfugge non solo verità del mondo, ma la verità del
loro stesso io .
Possiamo vivere questo dato di fatto (che non riusciamo neanche a cogliere
la verità di noi stessi) come una tragedia, ma possiamo viverlo anche come una
commedia : una divina commedia che esplora le variazioni e le sfumature
dell’amore accondiscendente di Dio che, sì, ride, ma non deride la nostra
umanità, la nostra piccolezza, anzi la invita a sorridere con lui, a entrare
nella sua gioia (cf. Mt 25,23), la gioia del Deus ludens (cf. Pr 8,31) .
L’homo ludens richiama all’affidamento e allo spirito di fiducia che
contraddistingue l’infanzia.
*
Vi lascio con la puntata di Il Diario di Papa Francesco dove si è parlato di questo tema del libro