9 anni di prigionia in isolamento
possono pesare come un’eternità, soprattutto quando hai 48 anni, «età della
maturità», soprattutto dopo aver lavorato come vescovo per otto anni sapendo
quanto bene si possa fare ogni giorno. La tentazione della disperazione batte tutti
i giorni come una goccia cinese forando le difese degli ideali. Come vivere in
questa morte imposta? Come amare quando si è ostinatamente odiati? Come sperare
in un domani se oggi è troppo lento a passare?
Il libretto Cinque pani e due pesci raccoglie alcune delle tante testimonianze personali di François-Xavier
Nguyễn Văn Thuận, un autentico testimone dell’amore fino alla fine del XX
secolo. Văn Thuận è stato vescovo di Nhatrang fino al 1975 nel centro del
Vietnam. Il 15 agosto 1975 viene arrestato e imprigionato per 12 anni, di cui
ha passato 9 in isolamento.
I primi tempi di prigionia Văn
Thuận le vive in attesa, ma poi un giorno ha l’illuminazione: «Io non
aspetterò. Vivo il momento presente, colmandolo di amore». Quest’intuizione non
nasce subitanea, ma matura lungo il suo cammino. Essa nasce dalla maturata
convinzione che «se io passo il mio tempo ad aspettare, forse le cose che
aspetto non arriveranno mai. La sola cosa che sicuramente arriverà è la morte».
Così decide di abbracciare la
sapienza del presente, vivendo ogni giorno come l’ultimo della sua vita. La sua
paura più grande, infatti, non era la morte: «Ho paura di perdere un secondo,
vivendo senza senso». Decide per questo di afferrare gli istanti, quei momenti
di prigionia, in pieno isolamento, in una cella umida a tal punto che
crescevano i funghi sul suo materasso, lì decide di «compiere azioni ordinarie
in modo straordinario». Per lui «il cammino della speranza è lastricato di
piccoli passi di speranza. la vita di speranza è fatta di brevi minuti di
speranza».
La decisione di vivere il
presente, di cogliere la grazia del momento non poteva essere vissuta senza la
presenza al Signore, colui che illumina la valle delle lacrime, colui che colma
di senso anche ciò che in sé è insensato. Nel tormento dell’improduttività
delle sua vita di prigionia, Văn Thuận sente una voce che gli suggeriva:
«Perché ti tormenti così? Tu devi distinguere tra Dio e le opere di Dio». Tutte
le opere di bene che ha compiuto in passato erano buone, ma sono opere di Dio,
non Dio stesso. «Se Dio vuole che tu abbandoni tutte queste opere, mettendole
nelle sue mani, fallo subito, e abbi fiducia in lui. Dio lo farà infinitamente
meglio di te;… Tu hai scelto Dio solo, non le sue opere». Scegliere Dio e non
le sue opere: la sfumatura non è di poco conto. Lì si gioca la comprensione del
proprio essere al cospetto di Dio tra anima-operaia e anima-sposa.
In quella prigione, dove
celebrava segretamente la messa quotidiana con tre gocce di vino sul palmo
della mano e qualche briciola di pane, lì, scegliendo Dio, Văn Thuận ha
iniziato a sperimentare la potenza dell’amore di Cristo. Le guardie, infatti, non
erano autorizzate a parlare con lui. Potevano solo rispondergli con «yes» e
«no». Inoltre, venivano cambiate ogni due settimane per non essere
«contaminate» da Văn Thuận. In seguito, però, è stata presa la decisione di non
cambiarli più, per non contaminare tutti. Văn Thuận aveva fatto la scelta di
amarli, proprio come Gesù ha amato chi lo odiava. Questa decisione di fare
spazio al Vangelo ha trasformato i carnefici in discepoli, discepoli che non di
rado hanno rischiato gravemente per rendere la vita più facile al prigioniero.
Văn Thuận verrà liberato, ma
quella prigione rimarrà un punto nodale della sua esperienza di cristiano. Proprio
la prigione, infatti, ha sprigionato un potenziale unico nella sua esistenza. Le
confidenze raccolte in questo consigliatissimo libro ne sono una semplice ma
eloquente testimonianza.