In quel tempo, Gesù disse ai suoi
discepoli: «In verità io vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei
cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago,
che un ricco entri nel regno di Dio».
A queste parole i discepoli rimasero molto
stupiti e dicevano: «Allora, chi può essere salvato?». Gesù li guardò e disse:
«Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile».
Allora Pietro gli rispose: «Ecco, noi
abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?». E Gesù
disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio
dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo,
siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele.
Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli,
o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita
eterna. Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi».
Gdc 6,11-24 Sal 84
Mt 19,23-30
L’interpretazione affrettata di questo vangelo
costituisce una delle motivazioni che hanno portato a una riduzione
pauperistica della fede cristiana. Quasi che bastasse essere poveri per essere
buoni cristiani. In realtà, il pericolo della ricchezza non consiste nel fatto
di avere, ma nel rapporto che si ha verso le cose. Una persona che non possiede
niente può essere comunque soffocata dall’invidia verso chi ha. Quest’invidia
può estendersi oltre i possedimenti materiali dell’altro, verso le sue qualità,
il suo successo, ecc. L’intento di Gesù, allora, va ben al di là degli spicci
che hai in tasca. È una crociata contro l’esistenza spicciola, ridotta all’inventario
di quello che hai, che più di possedere, ne sei posseduta come un demone. È qui
che la ricchezza – di qualsiasi tipo – diventa povertà e miseria, diventa un
peso che ostacola la corsa dietro lo Sposo che pur essendo ricco svuotò se
stesso per amore. Solo chi ama è ricco, perché è l’unica moneta del Cielo.