In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Nessuno è mai salito al cielo, se non
colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il
serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo,
perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare
il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la
vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel
mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di
lui».
Nm 21,4-9
Sal 77 Fil 2,6-11 Gv 3,13-17
Sento varie persone constatare che la
sofferenza sopportata da Gesù sulla croce è ben minore di quella patita da chi
porta una malattia lunga e lancinante. E hanno ragione per quanto riguarda la
sofferenza fisica. Non entro nel merito del discorso della sofferenza
spirituale perché il punto è altro! La redenzione non è tanto frutto della
sofferenza, quanto dell’amore del Dio umano. Ciò che ci salva non è il dolore
di Cristo, ma l’amore di Cristo. Anzi, l’amore del Padre che ha tanto amato il
mondo da dare l’unico Figlio per noi e l’amore del Figlio che si è fatto dono
irrevocabile anche dinanzi al rifiuto più ingrato. Lo intuì e ripeté in varie
circostanze Caterina da Siena: «Questo è il frutto della santissima Carità, che
fu quello legame che tenne Dio in croce; perocché né chiodi né croce sarebbero
stati sufficienti a tenerlo confitto in croce, ma solo il legame della Carità il
tenne». L’esaltazione della croce è il riconoscimento riconoscente di
quest’Amore.