In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli
attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava
infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato
nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni
risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di
interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese
loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la
strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò
i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e
il servitore di tutti».
E, preso un
bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie
uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non
accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Sap
2,12.17-20 Sal 53 Giac 3,16-4,3 Mc 9,30-37
Dio ama l’umiltà
perché Dio stesso è umile e chi vive umilmente si radica in Lui. Ma come può
Dio essere umile, lui che è “glorioso”? La gloria stessa del Signore è lo
splendore della sua umiltà. Essendo «amore» nella sua essenza più profonda, il
Signore è umile, perché chi ama fa spazio all’altro, diventa humus dove l’altro
può mettere radici e fiorire. È questo il contrasto in questo vangelo: tra la
gestualità di Cristo che si fa semenza e i discepoli che vogliono primeggiare.
Cristo, abbracciando il bambino e invitando ad accogliere il regno come un
bambino, ci invita ad accogliere la piccolezza (anche la nostra) sapendo che in
essa si cela Dio.