Presentazione del volume Dieu en l’homme di Denis Chardonnens
Robert Cheaib
«Cos’è la
verità?» chiese Pilato a Gesù. Questa domanda di quel momento drammatico rimane
tuttora critica e fondamentale. Se ne parla tanto nella Scrittura per essere
una tematica trascurabile. È così radicale che fraintenderne il senso e la
finalità significa fraintendere il Vangelo stesso. Da qui l’importanza di chiarire
il senso della verità nel contesto scritturistico e teologico.
È questo uno
dei filoni che si possono rintracciare nell’opera del teologo carmelitano Denis
Chardonnens, sviluppato nel suo volume Dieu en l’homme. Inhabitation de Dieu Trinitéet assimilation de l’homme à la verité per la collana Recherches
Carmélitaines delle Éditions du Carmel.
La verità che è la Trinità
Già all’inizio
dell’opera Chardonnens chiarisce che «la verità nella quale siamo introdotto è
quella dell’amore di Cristo che ci unisce al Padre nello Spirito» (10). Nello
sviluppo di questa premessa, l’A. offre uno studio approfondito della dottrina
dell’inabitazione della Trinità con ricco e consistente ricorso al Corpus
Johanneum, in dialogo con l’insegnamento di san Tommaso d’Aquino,
nonché di altri interlocutori come santa Teresa d’Avila e Meister Eckhart…
Questa convergenza tra il contributo teologico e quello mistico costituisce un
rafforzativo reciproco di entrambi gli affluenti giacché la mistica è la
teologia vissuta e la teologia è l’esplicitazione dell’implicito mistico.
Il percorso del
libro che si dipana in otto capitoli, è ordinato, come un esercizio spirituale,
a discernere l’opera di Dio-Trinità nell’itinerario della persona umana, un’opera
che si realizza come un «camminare nella verità», fonte di trasformazione in
Dio stesso (15).
L’ermeneutica
veritativa della fede trova già eloquenti conferme nel Vangelo di Giovanni dove
Gesù afferma di essere la verità (cf. Gv 14,6). Egli è inviato nel mondo per
rendere testimonianza alla verità del Padre (cf. Gv 12,47; 18,37). Lo Spirito
di verità che procede dal Padre e che Gesù invierà manifesterà, non un’altra
verità, ma la verità stessa di Gesù. Egli sarà la memoria della parola e della
persona di Gesù (cf. Gv 16). In breve, l’economia della rivelazione del Figlio
è rivelata rivelativa della verità trinitaria e non può essere altrimenti
giacché «mysterium Christi explicite credi non potest sine fide Trinitatis»
(STh II-II q. 2 a. 8 c.). Il carattere cristologico della rivelazione
manifesta il volto paterno di Dio. Il Padre «pronuncia» la Parola che è il
Figlio e il Figlio fa l’esegesi, l’esplicitazione del Padre (cf. Gv 1,18).
La verità intratrinitaria è l’amore
La verità
manifestata in Gesù, la verità trinitaria ad extra, riflette la vita della
Trinità ad intra. Qui l’A. fa notare che l’esegesi che il Figlio fa del Padre a
partire dal versetto Gv 1,18b mette in piena luce «la relazione d’amore
reciproco del Padre e del Figlio, in riferimento al senso biblico di kolpos
che è l’amore mutuo tra l’uomo e la donna (cf. Dt 13,7; 28,54-56; 2Sam 12,8),
della madre per suo figlio (cf. 1Re 3,20; Ru 4,16; Is 49,22), o ancora di Mosè
per il suo popolo (Nm 11,12)» (32).
Cristo
manifesta la verità di Dio conducendo l’uomo nel seno del Padre, all’intimità
con lui nello Spirito Santo. È questo il pieno senso della mistagogia:
l’iniziazione al mistero di Dio è l’ingresso esistentivo nel vissuto nel Mysterion
di Dio perché la verità di Dio è il mistero di comunione delle persone
divine che sono la verità-una nell’amore.
Verità relazionale
La pretesa
veritativa della teologia trinitaria, allora, non implica una gnosi quanto un
approccio relazionale alla verità fondato sulla costituzione della persona in
Dio, e la persona intesa nel senso sublime del termine formulato dall’Aquinate
come «relazione sussistente» (STh I q. 29 a. 4). Così entrare nella
verità significa maturare nella personificazione nel Figlio in quanto «non
siamo pienamente personali che all’interno della persona del Figlio, per cui e
in cui partecipiamo agli scambi della vita trinitaria» (H. de Lubac).
L’opera dello
Spirito, quale sigillo relazionale tra Padre e Figlio e quale Vinculum
amoris, è quella di «donarci di amare nella verità, per viverne e
condividerla con i nostri contemporanei, nella nostra relazione con Cristo»
(130).
L’inabitazione e la verità
La questione
sopraccennata trova il suo prolungamento e la sua esplicitazione nella dottrina
dell’inabitazione di Dio Trinità che permette alla creatura di partecipare alla
vita del Dio unitrino. La «relatività assoluta» delle persone divine manifesta
come ognuno dei «relativi» si trova nella nozione dell’altro (Gisbert Greshake).
Nella loro perikoresis, le persone trinitarie manifestano l’inseparabilità del loro esserci e la
comunanza del loro agire. Questa dimensione immanente si manifesta nella storia
della salvezza e rende i discepoli partecipi dell’opera comune dei Tre (cf. Gv
14,12). L’anima umana fa l’opera di Dio per la dimora di Dio in lei e per il
suo dimorarsi in Dio. Essa in qualche modo riecheggia la perikoresis
trinitaria nell’economia della salvezza vivendo un’unione senza confusione con
Dio in un’assimilazione mistica al Logos.
La dimora del
Dio trino nell’anima non è un fatto statico, ma è un evento dinamico che
inserisce l’anima nella danza trinitaria. Nella griglia veritativa, questa
dottrina inserisce l’essere umano all’interno dell’epifania della verità di Dio
che non solo viene donata all’uomo, ma si manifesta come invito a questi affinché
doni se stesso alla verità di Dio, affinché entri nella vita di Dio. Meister
Eckhart spiega così l’ingresso nel presente di Dio: «Il Padre genera suo unico
Figlio e in questa stessa nascita, l’anima rinasce in Dio. È una nascita unica;
ogni volta che rinasce in Dio, il Padre genera nell’anima suo unico Figlio». La
nascita del Verbo nell’anima è compresa allora come «assimilazione alla
generazione del Verbo propria dell’essere divino, ovvero l’assimilazione alla
verità generate che manifesta il Principio nel quale essa dimora».
Camminare nella verità
Il volto personale,
trintiario e mistico della verità è manifesto nella ricchezza del lessico
giovanneo riguardo all’opera dello Spirito di verità e del rapporto che l’uomo
deve avere con la verità. L’opera di Ignace de la Potterie rimane una pietra
miliare per vedere le sue immense sfumature in un Augenblick. L’A.
sceglie di chiudere la sua opera concentrandosi su una di queste sfumature: «En
alètheia péripateis».
Camminare nella
verità crea uno stretto legame tra la verità eterna e il suo inveramento
storico, tra aletheia e agape. L’amore è l’incarnazione della
verità e la verità è il sostegno dell’amore. Il credente è colui che «vive
sempre più intensamente nella luce della verità, vale a dire nell’irradiazione
della fede nell’amore manifestato di Dio e nel quale accoglie il comandamento
dell’amore» (326).
Per questo
l’inveramento storico della verità passa per il vissuto ecclesiale, quale
dimensione comunitaria per incarnare la caritas in veritate e viceversa.
Quest’esperienza è «un’esperienza di rivelazione» perché nella paradosis
ecclesiale, i cristiani accolgono il donarsi di Cristo nella Parola, nel Pane
eucaristico e nel volto del fratello (366). La chiamata alla comunione
ecclesiale rivolta dal Padre nel Figlio è chiamata affinché gli essere umani
«compiano il loro essere persone» nell’amore.
Questo volto
pratico della verità manifesta la natura pericoretica tra dogma e spiritualità.
Ed è proprio quest’attenzione che accompagna fedelmente l’opera di Chardonnens
che ne fa un prezioso strumento di frontiera tra la teologia dogmatica e la
spiritualità contribuendo a rinsaldare i legami tra fides qua e fides
quae, tra intellectus fidei e confessio fidei. Tale
congiunzione non si presenta come sovrapposizione, ma come convergenza
complementare dove l’“Oggetto” della teologia è stato sempre conosciuto per
connaturalità, entrando nel sapiente gioco della danza trinitaria.