In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li serviva.
Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo.
Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato».
E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea.

Col 1,1-8   Sal 51   Lc 4,38-44


Essere apostolo è essere presente per ognuno, ma non lasciarsi assorbire da nessuno. È un’arte fine che Gesù sa esercitare perché ama e chi ama realmente è così. L’evangelista ci commuove nel dirci che Gesù «impone su ciascuno le mani». Le masse non sono fatte di masse, ma di persone, di volti. Chi ama è una presenza tangibile, personale e personalizzante… una presenza concreta ma allo stesso tempo discreta. Per questo vediamo nel seguito del vangelo che Gesù non si lascia assorbire da chi lo vuole trattenere, da chi vuole l’esclusiva: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato». È questo l’equilibrio indispensabile all’amore puro. È lo stile del maestro. È lo stile del discepolo.