I vari metodi di studio critico della Bibbia hanno apportato tanti frutti e
ci hanno regalato delle conoscenze di cui i nostri avi non erano a conoscenza.
Ma questo approccio oggettivo ha avuto i suoi effetti collaterali nell’inaridire
la parola scritturistica. Non si esagera nel dire che l’oggettivismo eccessivo
ha reso l’esperienza del contatto con la Scrittura un’esperienza senza
soggetti. I due soggetti fondamentali dell’esperienza biblica sono Dio e l’uomo.
I pregi dell’approccio diacronico non devono soffocare l’incontro sincronico
inteso come incontro col testo canonico finale (e non solo con gli strati
ipotetici della formazione del testo), ma inteso anche come incontro con il
Soggetto che è contemporaneo a ogni pagina della Bibbia e a ogni uomo in ogni
tempo, il Soggetto che rende la Bibbia un libro “sincronica”, compagnia e
apportatrice di kairos, del tempo salvifico, nella vita di ogni uomo.
Uno dei pregi della lettura di Eugen Drewermann della Scrittura è proprio
questo tentativo sensibile che cerca di unificare la scienza biblica alla
scienza psicologica (psicologia jungiana del profondo per essere precisi) permettendo
al lettore del testo sacro di leggersi nel testo. Non bisogna nascondere il
pericolo celato nella riduzione a schematismi psicologici del testo sacro. Si
ha l’impressione che a volte si confondono salvezza e salute. Ma bisogna
riconoscere la validità dell’intuizione di Drewermann nel far parlare il testo
anche nel gergo psicologico e di guarigione attraverso la parola sacra.
Un esempio eloquente dell’impresa di Drewermann è il volume pluri-tradotto
e ripetutamente riedito: Il vangelo di Marco. Immagini di redenzione.
Nelle pagine di quest’imponente opera riscontriamo il continuo lavoro di
superamento del semplice approccio filologico per far risuonare nel testo la
Parola e preparare il terreno all’incontro religioso. La presa di coscienza
della dimensione personale del testo sacro, apre il lettore spontaneamente e
simultaneamente alla propria realità intima e personale, al suo bisogno di guarigione
e trasformazione.
Il vangelo di Marco per Drewermann presenta, come allude il sottotitolo del
volume, delle esperienze e delle immagini di redenzione. Ciò che si
respira già agli albori della Bibbia – ovvero «l’esperienza di totale necessità
di redenzione dell’uomo e della storia umana» – diventa nel NT «il punto di
partenza e la conseguenza di tutte le esperienze e le riflessioni sulla persona
del Cristo», e su questo tema, secondo l’A. il vangelo di Marco è «la
testimonianza più originale».
Il vangelo di Marco ci proietta dall’inizio nella lotta di Gesù contro il
maligno, ci mostra il mondo come un terreno conteso tra le forze della
costruzione o della distruzione, tra la salvezza o la dannazione. A quest’atmosfera,
l’A. applica il contributo della psicologia del profondo di Jung per analizzare
il vissuto dell’uomo sulla griglia della parola evangelica. Se il riduzionismo
psicologico di Drewermann è preso non come esclusivo e definitivo, ma come
metodologico e strumentale, possiamo cogliere il lato positivo della sua
lettura. Egli interpreta, ad esempio, il ciclo dei miracoli del vangelo di
Marco con l’aiuto della psicanalisi come una «lotta reale del Figlio dell’uomo
contro l’angoscia umana in tutte le sue sfaccettature, affinché d’ora in poi
nessuna sofferenza dell’anima e nessuna sventura della vita si sentano più
escluse da quella zona in cui la ritrovata fiducia nel fondamento dell’esistenza
può fare rinascere la salute. A partire da un determinato momento, l’incontro
con Gesù ci obbliga a scegliere fra l’angoscia e la fede, fra la disperazione e
la speranza, fra il perfezionismo sadico che fa perdere il senso della misura
nella pretesa di somigliare a Dio e l’atteggiamento semplice di una umanità
divenuta bambina».
L’allegorizzazione drewermanniana vede negli spiriti maligni contro cui
Gesù lotta «forze dell’anima che l’angoscia ha sospinto nell’Orco dell’inconscio».
La guarigione passa attraverso il graduale affidamento all’amore di Dio che si
manifesta in Gesù. Crescere nella fiducia verso Dio, fonte e fondamento della
nostra esistenza significa sfuggire «all’inferno della nostra esistenza
irrigidita nell’angoscia».
Ecco i termini e i poli del cammino di guarigione per Drewermann: angoscia
e fiducia. E la sua convinzione di fondo è che «solo una fiducia capace di
placare l’angoscia può vincere la demonizzazione dell’uomo, permettendo l’integrazione
degli ‘spiriti’». In Cristo la parola d’amore eccede anche il più sublime paradigma
umano di autodonazione, quello materno. «Il Cristo crocifisso diventa pane per
il mondo proprio perché nella sua vita come nella sua morte ha incarnato una
certezza durevole: Dio desidera dire alla sua creatura umana ciò che nessuna
madre può dire alla sua creatura in modo così chiaro, che, cioè, noi abbiamo
diritto di vivere, senza più avvolgere il semplice fatto della nostra esistenza
nei sudari degli antichi sensi di angoscia e di colpa. Dio è come il pane e il
vino, come la carne e il sangue, materno fin dal principio».