Quando si parla di "devozione al sacro cuore", di amare Dio "con tutto il cuore", del "cuore immacolato di Maria", ecc., chi non addentro alla visione cristiana pensa di trovarsi in una macabra macelleria di dissezione sacra... o - nella migliore delle ipotesi - che la fede è questione di effervescente e evanescente emotività, fatti di occhi a cuoricino, palpitazioni a mille e varie sintomatologie diabetofore... In realtà, "cuore" nella Bibbia e nella tradizione di pensiero e di fede cristiana è un concetto molto più ricco. 

Per la festa di santa Margherite Marie Alacoque, nota per la diffusione della devozione al sacro cuore, mi piace condividere con voi un testo "accademico" tratto dalla mia tesi di dottorato che contiene la parola cuore già nel titolo: "Itinerarium cordis in Deum". 

Il testo è forse un po' più lungo e più "condito" dei testi che solitamente condivido su questo sito di divulgazione teologica, ma spero vi sia di aiuto a comprendere meglio cosa intendiamo per cuore e perché il "concetto" cuore non è così eccentrico e sentimentalista come potrebbe sembrare.

Per alleggerire la lettura, ho fatto i paragrafi più brevi e ho evidenziato alcuni concetti chiave.
Buona lettura e buona giornata!

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San Tommaso parla della prima conoscenza delle cose divine che non avviene grazie allo studio, ma perché l’uomo le sperimenta in sé patendo il divino (patiens divina)[1]. L’antropologia biblica è pioniera nel dedicare attenzione a questo tipo di conoscenza che non è un assemblaggio di sillogismi, ma è una sintesi intuitiva per connaturalità. La facoltà simbolo di questa conoscenza è il cuore[2]

Il costrutto cuore, infatti, per le sue caratteristiche olistiche è fondamento del paradigma epistemologico-antropologico nella Scrittura[3]. Il cuore è considerato come la sede delle forze affettive, intellettive e volitive nell’uomo[4]. Come nucleo che riassume e concentra l’uomo, esso esprime una varietà di simboli includendo i sentimenti, la conoscenza, la sapienza, la memoria, l’interiorità e la volontà[5]. Il cuore è la profondità «dove il mistero dell’uomo viene illuminato dal mistero di Dio e dove l’uomo si apre all’incontro autentico con gli altri suoi simili e con Dio»[6].

Il cuore, con il suo duplice movimento di contrazione e di espansione (sistole e diastole), suggerisce l’idea di una potenzialità noetico-affettiva vicina alla dinamica del donare e dell’accogliere. In questa conoscenza fatta di coinvolgimento e di con-naissance sym-patica della realtà con-siderata, il sapere non è soltanto nozionale ma è noetico-etico-transustanziante, è una con-versione del conoscente nella realtà conosciuta

Pertanto, un’epistemologia teologica del cuore non si fonda soltanto sull’essere informati riguardo alla realtà divina, ma punta all’essere trasformati da/in essa, con la convinzione di fondo che il verum non è conoscibile senza la prassi del bonum motivata dall’estasi del pulchrum.

La lingua, casa dell’essere e rivelazione della genesi dell’episteme, offre tanti spunti che fanno riflettere sulla diffusa convinzione che il cuore sia il felice superamento di paradigmi epistemologici parziali come il positivismo, il neopositivismo, ma anche il razionalismo (teologico)[7]. Il simbolo «cuore» esprime la realtà umana in chiave meta-concettuale, in un’unitarietà degli elementi costitutivi che non è semplicemente la somma di essi, ma è il loro intreccio e il frutto delle loro relazioni significative. 

Le facoltà dell’uomo non si sommano l’una all’altra ma costituiscono nelle loro intersezioni degli effetti che non si otterrebbero con l’impiego separato delle facoltà. Così il cuore è, ad esempio, al centro della facoltà della memoria che di per sé sarebbe una facoltà intellettuale. Quando la memoria si esercita, essa non riporta fatti di cronaca, ma ri-corda (riporta al cuore) eventi che hanno segnato la vita della persona, e che sono segnati, mitigati dalla sintesi temporanea del suo presente. 

Uno sguardo rapido alla tradizione ebraica mostra come il cuore occupi una posizione antropologico-epistemica di rilievo, cosicché «fare attenzione» è «sim lev», ovvero «mettere il proprio cuore» e meditare equivale a «parlare al proprio cuore»[8].

Lo stesso intelletto e anche  la volontà vengono spesso denotati con l’immagine del cuore[9], dal quale nascono le azioni buone e cattive. Con la parola «cuore» si indica sia «il fondo dell’anima» sia «la pointe de l’ésprit»[10]. I padri del deserto erano esperti nel riconoscere i movimenti profondi delle anime in quanto in mezzo a loro era fiorente la kardiognosia.


Nel suo studio sull’intellettualismo di san Tommaso, P. Rousselot mostra che l’Aquinate insisteva molto sulla necessità di una preparazione morale per la percezione di certe verità. Alcune verità sono percepibili e comprensibili senza che il soggetto conoscente sia in gioco, altre, però, come le verità religiose avvengono in un particolare tipo di conoscenza: la «cognitio per modum naturae» che è coordinata con la conoscenza intellettuale, ma non subordinata a essa[11]. Nondimeno, questo modo di vedere e di conoscere non ha fatto storia nella scolastica. Soltanto agli albori del XX secolo è stato possibile vedere in campo teologico una riflessione più articolata sulla conoscenza per simpatia o connaturalità[12].

J. Maritain recupera nel tomismo la dimensione della conoscenza per connaturalità quale conoscenza che «avviene nell’intelletto, non per mezzo di connessione di concetti o per via di dimostrazioni», ma che ciò nonostante permette di comprendere «il carattere analogico del concetto di conoscenza»[13]. La conoscenza per connaturalità è una sintesi tra l’intuizione, l’intellezione e l’inclinazione: «Nella conoscenza per unione o inclinazione, connaturalità o affinità, l’intelletto è in gioco, non solo però, ma con le inclinazioni affettive e le disposizioni della volontà, ed è guidato e formato da esse»[14]

Nella sua visione, Maritain concorda con H. Bergson che «un’esperienza fruitiva» della divinità non può avvenire attraverso i nostri concetti, ma in una «conoscenza supra-concettuale» che si realizza attraverso la connaturalità dell’amore di carità che è «una partecipazione all’amore stesso di Dio»[15]. In quest’esperienza dell’amore di Dio affiora la somma conoscenza dove Dio viene conosciuto come l’inconoscibile (tamquam ignotus cognoscitur).

Riscoprire il cuore come organo di sintesi e di teognosi, non è un trend di una teologia che simpatizza per l’affetto a scapito della ragione. È rivalutare un volto della ragionevolezza del credere che supera «the paper logic» e la razionalità matematicizzante e strettamente sillogistica. È riscoprire il connubio tra amor e scientia che distinguono il sapere umano in genere, e il sapere credente in modo particolare, essendo la teologia essenzialmente scientia amoris[16]

Una teologia del cuore è una teologia che si fonda sull’appassionata ricerca teoretica e pratica della verità, del bene e della bellezza; una teologia cosciente del fatto che, se da un lato non si può amare senza conoscere (perché l’affectus cordis per potersi orientare ha bisogno della conoscenza), dall’altro lato, «non si può conoscere veramente senza amare. […]. Le ragioni del cuore devono diventare il cuore della ragione»[17]

Tale teologia riconosce con B. Pascal che la verità della fede si coglie con les raisons du cœur, che la ragione non conosce[18]; è una teologia che sa per esperienza che la fede è essenzialmente un affare di cuore[19]. Essa scopre che alla scaturigine della conoscenza credente non ci sono concetti ma un’esperienza di amore: «La fede è la conoscenza che nasce dall’amore religioso»[20].  

Le ragioni del cuore – come nota Lonergan – sono risposte intenzionali ai valori, sono una tappa del riconoscimento del valore che va oltre la ragione che sperimenta, capisce e giudica i valori ma non può andare oltre da sola. La ragione giunge al massimo a conoscere i valori, solo il cuore riporta l’uomo a ri-conoscere i valori, e il valore dell’Altro, a livello esistenziale e in una dinamica d’innamoramento (the dynamic state of being in love), e quindi a un livello di conoscenza a cui si giunge  attraverso il discernimento dei valori e del valore della persona (e in questo caso, di Dio) nell’amore[21].





[1] STh I q. 1 a. 6 ad 3.
[2] Si veda la voce «Cuore», Dizionario dei simboli, Vol. 1, 359: «Il cuore è effettivamente il centro vitale dell’uomo – in quanto assicura la circolazione del sangue – è perciò considerato come simbolo – e non come sede reale – delle funzioni intellettuali».
[3] È interessante al riguardo il capitolo dedicato al «cuore» nell’antropologia dell’AT del volume di H.W. Wolff, Antropologia dell’Antico Testamento, 58-83. Il titolo stesso del capitolo è espressivo: «leb(lebab) – l’uomo razionale». L’autore fornisce una dettagliata presentazione del ruolo epistemologico occupato dal cuore nell’antropologia dell’AT.
[4] Cf. L.F. Ladaria, Antropologia teologica, 115: Il cuore è «ciò che è più intimo e nascosto dell’uomo, accessibile solo allo sguardo di Dio […]. Il cuore è anche la sede dei sentimenti […]. La ragione dell’uomo è “localizzata” nel cuore […]. Il lēb è anche il potere di decisione dell’uomo».
[5] I riferimenti biblici sono molto numerosi; un utile riferimento è A. Legname, La teologia del cuore in S. Agostino, 59-61. Si veda anche A. Lefèvre, «Cor et cordis affectus», 2278-2281.
[6] A. Legname, La teologia del cuore in S. Agostino, 61.
[7] Per un panorama sui diversi paradigmi epistemologici si veda L. Mišiková, Complessità ed unitarietà del costrutto cuore: Un paradigma epistemologico-antropologico integrato e le sue applicazioni psicologiche e pedagogiche, 12-19.
[8] Cf. «Cuore», Dizionario dei simboli, Vol. 1., 361.
[9] Cf. P. Evdokimov, «La nozione biblica del cuore», 91: «Per gli ebrei si pensa con il cuore perché esso integra tutte le facoltà dello spirito umano».
[10] Cf. A. Legname, La teologia del cuore in S. Agostino, 65: «L’interiorità del cuore esprime l’attività umana che non è del corpo, ma che sta nell’ambito della “mens”, dell’“animus”, dei gradi specificamente umano dell’“anima”, dell’“uomo interiore”».
[11] Cf. P. Rousselot, L’intellectualisme de saint Thomas, 70. Rousselot spiega che questa conoscenza per connaturalità si oppone veramente alla conoscenza per primi principi, che sono degli enunciabili concettuali. Essa è infatti una conoscenza più intuitiva perché più personale, e quindi più alta: «est enim aliquid scientia melius, scilicet intellectus» (cf. Ibid., 72). Per un’ottima sintesi sulla cognitio per modum inclinationis o per quandam connaturalitatem si veda il primo capitolo dedicato alla nozione in Tommaso nell’ottimo lavoro di P.-A, Belley, Connaître par le cœur. La connaissance par connaturalité dans les œuvres de Jacques Maritain, 31-79.
[12] Così J. Maritain: «La conoscenza vissuta – la conoscenza per simpatia o connaturalità – è stata ignorata dai dottori della scolastica, che ne facevano la sapienza per eccellenza, ed è stata scoperta una ventina di anni fa grazie alla filosofia dell’intuizione e la filosofia dell’azione» (J. Maritain, «La philosophie bergsonienne», 271).
[13] J. Maritain, «De la connaissance par connaturalité», 981.
[14] J. Maritain, «De la connaissance par connaturalité», 983-985. Così si esprime anche Evdokimov: «la ragione e l’intuizione non sono mai estranee alle opzioni e alle simpatie preliminari e irrazionali del cuore» (P. Evdokimov, «La nozione biblica del cuore», 91).
[15] J. Maritain, «De la connaissance par connaturalité», 987.
[16] Cf. J. Ratzinger, Natura e compito della teologia, 28-30.
[17] A. Legname, La teologia del cuore in S. Agostino, 83.
[18] «Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce; lo si constata in mille cose» (Pensées, 477/277).
[19] «È il cuore che sente Dio, e non la ragione. Ecco che cos’è la fede; Dio sensibile al cuore, non alla ragione» (Pensées, 481/278)
[20] B. Lonergan, Method in theology, 115.
[21] Cf. B. Lonergan, Method in theology, 115.