Avendo studiato a
fondo la teoria e la vita di Viktor Frankl, sono un grande convinto della forza
di resistenza dello spirito umano, della capacità dell’uomo di trasformare i
propri ostacoli in trampolini di lancio. Ma per trasformare le difficoltà in
occasioni, abbiamo bisogno di una spinta, di uno slancio interno – che come
cristiano chiamo “grazia” – e di una dimensione incarnata di amore che ci dona
un motivo per lottare. Frankl citava spesso un’espressione verissima di
Nietzsche: «Chi ha un perché nella vita, può superare quasi ogni come».
Quando ho aperto
il libro di Arturo Mariani, Nato così. Diario di un giovane calciatore senzauna gamba, ho letto queste parole: «la pazienza è la virtù dei forti… ma
avere pazienza presuppone la consapevolezza di aspettare qualcosa, di avere
fiducia nel futuro. Personalmente ritengo che la vita sia un equilibrio, un’altalena
di eventi e stati d’animo positivi e negativi: l’essenza di tutto è nel saper
attendere». Ecco, queste parole sono bastate per convincermi che dovevi
ritagliarmi spazi di tempo che non ho per leggere questo «inveramento» di
quello che penso.
Il titolo del
libro già la dice lunga. Siamo davanti al diario di un ragazzo nato con
una gamba sola. Ma andiamo piano con la pietà, Arturo non scrive per strapparci
qualche lacrimuccia, anzi, nel suo libro vuole strapparci al nostro vittimismo.
Questo giovane ventenne, malgrado la sua “speciale” condizione, ha potuto incoronare
un sogno, il proprio sogno: quello di essere calciatore professionista nella
Nazionale Italiana Amputati.
Il libro narra
alcuni momenti e monumenti fondamentali della vita di Arturo, dal concepimento
(e quell’ecografia che ha rivelato che avrà solo una «gamba sacra») fino alla
partecipazione ai mondiali per gli amputati in Messico, passando per la vita
familiare e la lotta “normale” di ogni giovane che vuole amare ed essere amato.
La forza che
emana da Arturo Mariani nasce dalla sua fede, ma contemporaneamente dall’amore
incondizionato dei suoi genitori (e della sua famiglia in generale). È quell’accoglienza
incondizionata che ha visto in lui non un «amputato», ma un figlio «speciale»
che si percepisce in tutte le pagine del libro. È la fiducia anticipata che
«Arturino farà cose grande» che ha custodito il suo sogno e generato la forza
per realizzarlo malgrado le difficoltà oggettive.
La vita non è
stata sempre facile: «Non nego sicuramente che in alcuni rari momenti,
soprattutto in adolescenza, avrei voluto essere invisibile o almeno passare inosservato
agli occhi del mondo». L’interrogativo «perché sono nato senza una gamba?» era
istintivo. Ogni uomo si pone domande. L’uomo, anzi, è una domanda aperta. A maggior
ragione chi si sente privato di ciò che è gratuitamente dato a molti: perché? E
perché io? Arturo riporta però una scena della sua infanzia che diventa un
pilastro. A una persona che gli chiede una spiegazione perché è così risponde
un giorno: «Sono così perché Gesù mi ha voluto così!». Questa risposta
coraggiosa che non spegne l’interrogativo, ma orienta la risposta e raddrizza
la prospettiva: «Penso – scrive – che ci sia un progetto per ognuno di noi, ma
che sia un progetto su carta bianca, dove c’è scritto solo la prima parola…».
In altre parole, siamo co-autori del libro della nostra vita, dei nostri
giorni.
Quando Arturo
dedica il tempo a presentare la sua famiglia, si capisce che il dono della fede
è spesso un seme custodito e annaffiato dalla famiglia. Cito qualche riga con
cui il giovane calciatore presenta suo papà Stefano che ho avuto la gioia di
conoscere: «Il lavoro, l’impegno in parrocchia, ma tutta la sua vita è stata
sempre proiettata al servizio della famiglia. E questa è una frase su cui
vorrei fare una sottolineatura ben marcata. Non ci ha mai fatto mancare niente
a livello materiale, ma soprattutto affettivo, con presenza e amore. Da quando
sono nato, le attenzioni che ho ricevuto non sono descrivibili neanche se
scrivessi mille libri».
Parole non meno
generose sono riservate alla mamma e ai fratelli. Parole che fanno respirare
che la capacità di abbracciare il limite e di superarlo non è solo un miracolo
dall’Alto, è anche un miracolo dell’amore umano che ci permette di accettare il
nostro essere e ci metto sui binari dell’unicità del nostro
destino/destinazione.
Per chiudere questo invito alla lettura lascio la
parola al padre, Stefano, che in «un’intervista» riportata nel libro da cui
trapela il suo sguardo benedicente sul figlio di cui dice: «è come se avesse in
mano la vita ed è lui a farla sussultare, non viceversa».