In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti
i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano
dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di
voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e
va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno
di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e
dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si
era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore
che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di
conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e
ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente
finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e
dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”.
Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore
che si converte».
Rm 14,7-12
Sal 26 Lc 15,1-10
Le allegorie usate da Gesù manifestano come
Dio legge il nostro peccato. Dio non guarda all’offesa arrecata a lui, ma al
danno, alla perdita subita da noi (per colpa nostra!). È qui che si manifesta l’amore
superlativo di Dio, l’amore superlativo che Dio è. Aristotele parlava di un
«motore immobile» che attrae tutto a sé. Chi conosce il Dio di Gesù Cristo non
trova niente di affascinante in questo “bello e impossibile” impersonale. È il
Dio che si china, che si commuove, che gioisce per il nostro ritorno che ci
affascina, ci rapisce.