In quel tempo, Gesù entrò nella città di
Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei
pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa
della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire
a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo
sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa
tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti
mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore:
«Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a
qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è
venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo
infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
2Mac 6,18-31 Sal 3
Lc 19,1-10
L’albero del sicomoro può essere letto come
una bellissima allegoria della nostra coscienza. Mi spiego: possiamo sentirci troppo
“bassi” come Zaccheo, indegni per il nostro peccato e incapaci per la nostra
piccolezza di entrare in rapporto con Gesù. Ma dentro di noi c’è un anelito, un
richiamo, «l’eco di una Voce», come diceva il grande J.H. Newman, che richiama e
reclama Dio. Secondo questo grande convertito, il nostro rapporto con Dio si
vive proprio a livello della coscienza che è «in costante ricerca di Dio». Sta a
noi, con l’aiuto della grazia, assecondare il richiamo puro della coscienza che
sussurra di continuo «Abba, Padre». Il momento che ci apriremo con cuore puro, Lui
ci salva-guarda ed entra a casa nostra. Per Gesù è un «dovere» d’amore.