In quel tempo, una folla numerosa andava
con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di
quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e
perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la
propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre,
non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a
termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il
lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha
iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro
un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini
chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano,
gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i
suoi averi, non può essere mio discepolo».
Rm 13,8-10
Sal 111 Lc 14,25-33
La vita spirituale inizia a volte con
esperienze gratificanti, con una ritrovata pace e serenità, con il recupero di
una visione del mondo dopo lo stillicidio di un vissuto frammentario. A ben
vedere, però, il fine in tutto ciò sarei io con la mia finitezza che diventa
una prigione, una non pienezza. Gesù mi invita a spalancarmi all’Infinito. È
questo il senso dell’«odio» che richiede. Non è certo l’odio avvelenato e
rancoroso. È prendere quota, prendere le giuste distanze per respirare e lasciar
respirare, crescere e lasciar crescere. E la nostra crescita avviene nella
misura in cui costruiamo il castello interiore dell’anima a immagine del Dio
amore, e nella misura in cui vinciamo la guerra contro l’egoismo che si
frappone tra il nostro io e il Tu dell’Amato.