In quel tempo, Giovanni stava
con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse:
«Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così,
seguirono Gesù.
Gesù allora si voltò e,
osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli
risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse
loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel
giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Uno dei due che avevano udito
le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon
Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo
trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo
sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai
chiamato Cefa» – che significa Pietro.
1Gv 3,7-10 Sal 97
Gv 1,35-42
Il vangelo della vocazione
dei primi discepoli in Giovanni è un concentrato commovente di sguardi. È soprattutto
quando sto con i bambini che mi rendo conto della primarietà di questo senso
nella comunicazione. Uno sguardo basta per comunicare affetto, simpatia,
rimprovero… Uno sguardo può dire senza equivoci: darei la vita per te. E un
bambino, mirabilmente, capisce questo. Gli apostoli – che in questo vangelo
fanno un’esperienza della persona di Gesù che si dona a loro a partire dallo
sguardo e gli inizia al suo amore che arriverà fino alla fine (cf. Gv 13) –
sono i nostri predecessori nel senso del discepolato: esso non è l’adozione di
una ideologia. Il discepolato è prima di tutto sapere che Egli ci ha amato per
primo e ha posato lo sguardo su di noi, su di me.