In quel
tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che
getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme
germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce
spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e
quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la
mietitura».
Diceva:
«A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo
descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul
terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando
viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa
rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua
ombra».
Con molte
parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano
intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli
spiegava ogni cosa.
2Sam
11,1-4.5-10.13-17 Sal 50 Mc 4,26-34
Perché il
Signore ci ha creati bisognosi di sonno, di cibo e di tante altre realtà dalle
quali dipende la nostra esistenza terrena? L’indigenza della nostra natura costituisce
per noi un varco privilegiato verso una verità che altrimenti ci rimarrebbe
oscura: ciò che conta di più nella nostra vita non viene dalla nostra attività,
ma dalla nostra rassegnazione; non viene dalle nostre imprese, ma dall’accoglienza
di quanto ci è donato. È la lezione delle due parabole del vangelo che ci
vengono proposte. Esse ci confermano in quanto Blondel ha espresso così: il
supremo sforzo della natura dell’uomo è di confessare la necessità di ciò che
lo trascende.