La Scrittura parola ispirata e ispirante
L’esegeta cattolico in genere, pur non negando l’ispirazione della Bibbia, la trascura di fatto, come irrilevante, nell’esercizio concreto del suo lavoro. Così si lamentava qualche decennio fa Karl Rahner. La situazione oggi non è cambiata tantissimo. Accostarsi a un libro di esegesi biblica o un commentario fatto da un esegeta “serio”, comporta sovente due rischi: la noia o l’apostasia.
La premessa, volutamente ludica, vuole fare un’affermazione non scontata: è sempre edificante vedere un esegeta che interpreta la Bibbia tenendo a mente il suo genere letterario unico (e non semplicemente raro): quello di essere parola di Dio in parole umane. Quello di essere scritta a quattro mani. Quello di avere di Dio come autore, ma di avere, allo stesso tempo, gli agiografi umani come «veri autori» (cfr. Dei Verbum 11), perché la loro parola e le loro menti non sono state violate, bensì custodite e illuminate dall’intervento di Dio.
Il Commentario al Nuovo Testamento di Klaus Berger è un esempio di attenzione a questi due volti inscindibili del testo biblico: il volto umano e il volto divino. Il primo volume dedica l’attenzione ai Vangeli e Atti degli apostoli. Dopo aver presentato precedentemente su theologhia.com il secondo volume. Dedichiamo qui qualche paragrafo al primo volume.
Dal volume di Berger, e senza mancare di rigore scientifico, traspare il duplice volto dell’ispirazione della Scrittura. L’ispirazione, infatti, è da intendersi in senso attivo e passivo, nel senso che  le Scritture non sono solo ispirate ma anche ispiranti. Così leggiamo ad esempio in 2Tm 3,16-17: «Ogni Scrittura infatti è ispirata da Dio» (πᾶσα {ogni} γραφὴ {scrittura}  θεόπνευστος) e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare nella giustizia, affinché l’uomo di Dio sia ben formato, perfettamente attrezzato per ogni opera buona».
Il crocifisso, modello di tutti i martiri
Alle soglie della settimana santa, scegliamo un paragrafo che commenta gli eventi di cui facciamo il memoriale in questi giorni.
Anche in Luca l’ultima parola che esce dalle labbra di Gesù sulla croce è come il compendio della sua vita: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). Questo testo, che proviene dal Sal 30,6 [LXX], corrisponde alla preghiera ebraica della sera (Berakhoth 5). Anche Stefano pregherà in modo simile: «Signore Gesù, accogli il mio spirito» (At 7,59). Il martire Zaccaria, padre del Battista, scrive a Erode a proposito del matririo: «Se tu spargerai il mio sangue, il mio spirito sarà accolto dal Signore, poiché tu spargerai sangue innocente» (ProtEvJacobi 23,2)…
Gesù è ritratto come il martire paziente, presentato come modello di tutti i successivi martiri cristiani, specialmente di Stefano, nel loro soffrire da innocenti. Gesù prega per i suoi nemici, Stefano fa lo stesso. In modo analogo, Giacomo, il fratello del Signore, dirà: «Perdona ad essi, perché non sanno quello che fanno». A questo corrisponde il fatto che solo in Luca Gesù guarisce l’orecchio mutilato del servo del sommo sacerdote (22,51).
Gesù muore da pio ebreo, facendo della preghiera ebraica della sera («Nelle tue mani, Signore, affido il mio spirito») la preghiera della propria morte (analogia tra morte e sonno), come faranno poi molti martiri cristiani dopo di lui.

La passione di Gesù è la sua via per entrare nella gloria (24,26) – in modo analogo per i cristiani in At 14,22. – Come in altri testi sulla sofferenza e la gloria, anche qui, sullo sfondo, c’è la vita militare: solo il soldato che ha sofferto arriva alla fame e alla gloria. Anche più tardi il martire sarà il miles gloriousus.