In
quel tempo, Gesù esclamò:
«Chi
crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede
colui che mi ha mandato. Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque
crede in me non rimanga nelle tenebre.
Se
qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non
sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.
Chi
mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho
detto lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me stesso,
ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che
cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque
che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».
At
12,24-13,5 Sal 66 Gv 12,44-50
Da
un po’ di tempo a questa parte, ho una convinzione che va sempre
approfondendosi: se non capisci il valore umanizzante di una pagina del
vangelo, è il caso che ti concentri per capirla meglio. E nel vangelo c’è una
sequenza stupenda di rinuncia al giudizio da parte di Dio: Il Padre lascia
tutto il giudizio in mano al Figlio e – come ci ricorda questo vangelo – il Figlio
dichiara di non essere venuto per condannare, ma per salvare il mondo. Il
giudizio è in noi. Nella luce stessa della nostra coscienza che Cristo non fa
altro che rischiarare mettendola nella prospettiva non di una arida norma
etica, ma nella luce dell’Eterno e affidabile scambio d’amore tra Padre e
Figlio, quello scambio d’amore che è «vita eterna», è lo Spirito della Vita che
Cristo è venuto a comunicarci.