Mentre la parola Jhwh
appare 6830 volte nell’Antico Testamento (AT), la parola Trinità non appare
neanche una volta in tutta la Bibbia. Questo non significa che la Trinità sia
una realtà estranea al Nuovo Testamento (NT). Il Padre, il Figlio e lo Spirito
Santo appaiono continuamente nel NT e il termine Triás verrà cognato per
esprimere la loro unica realtà. Esso viene usato per la prima volta da Teofilo
d’Antiochia (II secolo), e appare nella tradizione latina nel De pudicitia
di Tertulliano come Trinitas esprimendo di fatto la tri-unità di Dio.
Mentre il Padre il Figlio e lo Spirito pervadono il NT, ci si chiede: la
Trinità è presente nell’AT?
Nel suo libretto Il mistero di Dio, il cardinal Gianfranco Ravasi offre una risposta a questo
quesito considerando sommariamente due vie percorse nella tradizione. La prima è
la via prospettica, la seconda è la via retrospettiva. Vediamo cosa significano
e cosa le differenzia.
La via
prospettica
L’approccio
prospettico si sforza di cercare tracce nell’AT che prefigurano la Trinità.
Sono solitamente testi in cui Dio balena come pluralità. Tale impostazione,
usata da diversi Padri manifesta lati di fragilità prima perché non trova
tantissimi appigli reali nel testo e secondo «perché tende lentamente a
cancellare la qualità fondamentale della rivelazione biblica che è quella di
essere una rivelazione storica in progressione».
Il grande rischio
dell’approccio puramente prospettico è quello di trasformare la Bibbia in una
catena di verità codificate che devono essere presenti dall’inizio alla fine
del testo sacro come se fosse un giallo poliziesco o un manuale sistematico e
programmatico di teologia. Ravasi ricorda che «la Bibbia non è un trattato di
teologia perfetto e concluso in sé. È, invece, la parola di un Dio della storia
che parla nella storia, che si rivela pagina per pagina, passo per passo, tempo
per tempo».
La via
retrospettiva
Questo approccio
assume un metodo diverso in quanto parte dal Nuovo Testamento per rileggere l’AT
e, con la verità manifestata nel Nuovo getta una nuova luce sull’Antico. Si
scopre così come l’espressione della fede trinitaria nel NT si è configurata
con elementi già presenti nell’AT. Si tratta di uno sguardo a ritroso che
riscopre come Dio sia fondamentalmente persona o, meglio, personale. Il Dio che
si rivela a Mosè - «Io sono colui che sono» - è un Dio prossimo e che si fa
prossimo, «l’unico Dio della Bibbia non è un’espressione matematica, non è un punto,
che rimane intatto in sé». È un Dio personale e interpersonale che si rivolge
all’uomo e crea una relazione di alleanza, anzi, una relazione nuziale con la
sua creatura.
L’AT presenta diverse figure – che verranno definite come «figure
mediatrici» - che costituiscono un terreno fertile al quale può attingere
retrospettivamente la lettura cristiana per vedere elementi trinitari nell’AT. Una
di queste figure è il logos il quale, pur non presentandosi nell’AT come una
persona, «ha in sé un’efficacia tale da essere personificata» e da essere
presentata come «parola di Dio» che agisce, si rivolge e fa diversi atti tipiche
della persona. Davanti al Signore avanza la sua parola, il suo Verbo che lo
precede e lo annuncia. Al pari della parola, l’AT presenta altri concetti
che acquisiscono pian piano tratti personali. Tali sono le categorie di
sapienza, spirito, angelo, ecc.
Attraverso tutte queste categorie «possiamo retrospettivamente
intravedere, già nell’AT, come la Parola, la Sapienza, lo Spirito di Dio siano
quasi delle figure in sé considerate, che ci permettono di vedere profilarsi,
sia pure ancora in maniera abbozzata e soltanto ammiccante, la figura del
Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
E prosegue Ravasi: «Il NT, illuminandole, ce ne fa cogliere la portata,
perché è proprio grazie a queste sfumature presenti nell’AT che gli apostoli e
i discepoli di Gesù hanno potuto comprendere e raccontare il mistero
trinitario».