In
quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e
risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i
popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di
questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio
ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza
dall’alto».
Poi
li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li
benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si
prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e
stavano sempre nel tempio lodando Dio.
At
1,1-11 Sal 46 Eb 9,24-28;10,19-23 Lc 24,46-53
Apprezziamo
ciò che sappiamo attendere perché l’attesa scava nel cuore lo spazio necessario
per accogliere il dono. Tutte le cose belle nella vita si fanno attendere, a
cominciare dall’arrivo di un bambino. Ognuno di noi si è fatto attendere.
L’ascensione è un congedo, ma anche un’educazione che il Risorto impartisce ai
discepoli. È il momento in cui l’esperienza di Cristo si fa meno sensoriale e
diventa attesa di un’esperienza più radicale. Cristo si allontana dai sensi, ma
paradossalmente diventa più radicalmente l’unico senso della nostra esistenza,
anche nel silenzio dei sensi (e a volte nella notte della fede).