In
quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«In
verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si
rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in
gioia.
La
donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando
ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia
che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi
vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la
vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla».
At
18,9-18 Sal 46 Gv 16,20-23
Non
è vero che chi crede non soffre. La sofferenza è uno scandalo che pesa su
tutti. Anzi, sulle spalle di chi crede pesa la domanda aggiuntiva: “Dov’è Dio?”.
L’angoscia di questo grido riecheggia in particolare in quei libri dell’Antico
Testamento dove la fede nella risurrezione dei morti non era ancora
consolidata. L’analogia del parto usata da Gesù ci chiarisce un fatto: ciò che
consola le doglie di una mamma non è la fine del dolore, ma il volto del bambino,
suo bambino. Così per noi, la consolazione delle nostre doglie è la
nascita dell’“uomo nuovo” in noi e, soprattutto, la misteriosa e mistica “ri-nascita”
di Cristo dal grembo delle nostre sofferenze.