La bioetica sta acquisendo, con passo molto accelerato, un largo spettro d’interesse per motivi diversi, tra cui il ritmo accelerato del progresso biomedico, il quale ha inevitabilmente delle ricadute non solo biologiche e scientifiche ma anche etiche.
Nel suo libro semplice ma non semplicistico, Breve introduzione alla bioetica, Xavier Thévenot presenta una riflessione bioetica
attorno a due grandi aree: quella dell’inizio della vita, con riferimento
specifico alle diverse tecniche di procreazione assistita, e quella del fine
vita, in particolare riferimento all’eutanasia. Il moralista francese presenta
un modello basato sull’ etica della responsabilità radicata nella visione
kantiana dell’imperativo categorico e della persona da considerare sempre come fine
e mai come mezzo.
L’autore presenta nella prima parte del libro
una panoramica descrittiva delle diverse pratiche di fecondazione assistita.
Per quanto riguarda la questione degli interventi medici su persone in fin di
vita, Thévenot cerca di manifestare la complessità e la molteplicità delle
questioni che si pongono e si devono porre quando si tratta della decisione di
interrompere le cure per persone malate, persone sofferenti e malati terminali.
Dopo la parte descrittiva, l’autore passa nel
secondo capitolo a formulare i problemi con un approccio primariamente
filosofico, che mostra la portata universalmente antropologica e non
semplicemente e meramente religiosa della posta in gioco delle scelte
bioetiche. L’autore esamina infatti i principi i presupposti filosofici
includendo, per non rimanere nell' astratto, delle esemplificazioni concrete
per le varie questioni poste.
Come già accennato, Thévenot prende avvio
nella fondazione filosofica dall’ imperativo categorico kantiano. «Agisci
sempre in modo tale che la massima del tuo agire possa essere universalizzata».
Un medico non può demandare i suoi giudizi sulla arbitrio dei casi singoli
punto non può affermare che esistono al mondo solo casi singoli e che ognuno ha
la sua morale. Facendo così trascurerebbe le regole deontologiche della sua
professione non che la legislazione vigente.
La seconda massima kantiana afferma la
necessità e l’obbligo morale di considerare la persona sempre come un fine. «Nella
tua persona e in quella degli altri tratta sempre l’umanità non semplicemente
come un mezzo, ma sempre come un fine».
Questi due principi invitano a una seria
riflessione che sappia dosare la dimensione universale e la dimensione
individuale, ovvero personale, della morale della vita. Thévenot ricorda che,
giustamente, bisogna sempre seguire la propria coscienza, ma la coscienza può
essere erronea e illusa, per questo è necessario che ci sia una continua e
rinnovata formazione e illuminazione della stessa. Una morale responsabile si
impegna continuamente a consolidare i propri fondamenti e a non accontentarsi
di giudizi sommari e di buone intenzioni. Chiudersi in una morale delle buone
intenzioni significa sostenere l’individualismo e appianare la via verso il
relativismo e la normazione anche dell’immorale. «Significa altresì mutilare la
realtà, che non è riducibile alla sola dichiarazione personale, ma è sempre dotata
di un dinamismo proprio; e significa anche dar prova di ingenuità, in quanto
sappiamo bene tutti che le nostre intenzioni sono sempre più o meno opache o
cariche di illusioni, e in ogni caso raramente “pure” come si vorrebbe credere».
L’approccio personalistico dell’autore alle
questioni poste fa sì che il suo libro, pur trattando di morale, non puzzi di
moralismo. Pur presentando delle convinzioni chiare, la ricchezza primaria che il
libro consegna al lettore non è quella delle risposte, ma della necessità di
porsi le domande e di cogliere la complessità delle questioni etiche e
bioetiche. Il tutto è fatto con semplicità e immediatezza, utile per il lettore
interessato ad approfondire le questioni bioetiche di inizio e fine vita.