In
quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi
discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero:
«Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei
profeti».
Disse
loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo,
il Figlio del Dio vivente».
E
Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né
sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico:
tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli
inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli:
tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che
scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
At
12,1-11 Sal 33 2Tm 4,6-8.17-18 Mt 16,13-19
Nella
vita quotidiana impariamo a leggere gli eventi attuali alla luce delle
esperienze passate. Così anche la gente ha cercato di leggere Gesù alla luce
del passato. Ma la cosa non poteva funzionare, perché Gesù è la novità di Dio.
È più di un profeta e più di un ritorno di un Elia o di un Giovanni Battista.
Della sua venuta dice Tertulliano: «Novus nove venire voluit». Cristo,
la novità di Dio ha voluto venire sulla nostra terra in modo nuovo, innovativo
che esprime la freschezza rinnovatrice dell’amore di Dio. È normale allora che
il riconoscere Cristo non possa venire dalle reminiscenze umane, ma
dall’apertura all’eternità del Padre, dal futuro di Dio che irrompe nella
coscienza di chi è docile. Pietro e Paolo sono persone che si sono lasciate
ammaestrare e sorprendere dal futuro di Dio. Ognuno di loro ha dovuto lasciare
quello che aveva dietro per correre verso Colui che sta davanti, non come
traguardo irraggiungibile, ma come condottiero che conduce alla Vita che è egli
stesso. D’altronde, Signore da chi andremo?