La tenerezza non è fatta di idee, ma di fatti. La forza
della tenerezza svanirebbe se fosse solamente poesia e belle parole. La
tenerezza deve arrivare ai gesti, alla carne. Per questo guardiamo brevemente
alla forza di tenerezza che sprigionano due gesti: l’abbraccio e il bacio.
La tenerezza è il sacramento dell’interezza. Il suo simbolo
eloquente è l’abbraccio, la capacità di accogliere l’altro nei suoi angeli e
nei suoi demoni. Se vogliamo esorcizzare i demoni di qualcuno, dobbiamo prima
accoglierlo.
L'ABBRACCIO
L’abbraccio è un’ellisse, non un cerchio. Non è circuire l’altro,
ma circondarlo. Non è togliergli il respiro, ma è accogliere i suoi sospiri,
cogliere le sue aspirazioni e condividere le sue speranze.
L’abbraccio è diverso dalla stretta forzata perché stringe
senza costringere. Si aprono le braccia per ricevere, si
chiudono per accogliere riservando all’altro una dimora nella propria intimità.
Lo stringere in un abbraccio è paradigma
della relazione non violenta. Nella tenerezza dell’accoglienza, ognuno diventa
spazio, casa e ospitalità.
A volte abbiamo il desiderio che l’altro ci abbracci così
forte da rompere la cassa toracica, liberare il cuore e ricomporre l’essere.
Ci sentiamo, infatti, realmente amati quando possiamo
mostrarci nella nostra verità, nella nostra debolezza, senza che questo diventi
per l’altro occasione per dimostrare la sua forza e la sua prevaricazione.
L’abbraccio, infine, è un gesto di custodia, custodia della
gioia dell’altro. «Nell’amore più bello non esiste altro sogno che quello di
salvaguardare la gioia dell’altro» (Habachi).
IL BACIO
Il bacio è quando la parola diventa contatto, carne e comunicazione
di respiro. È bellissimo che in ebraico si usi la stessa parola – nefesh
– per dire sia anima sia respiro. In questo senso, quando ci
baciamo comunichiamo sia il nostro respiro, sia la nostra anima. Il bacio è il
letto verginale delle anime. Il bacio erotizza lo spirito e spiritualizza la
carne.
Con la bocca solitamente mangiamo, consumiamo. Il bacio è
una trasfigurazione della bocca, è una vittoria sulla logica del consumo.
Baciando superiamo il bisogno verso il desiderio. Il cibo si consuma, i baci si
danno. Mangiare assimila, baciare custodisce.
La bocca, che solitamente ingerisce e trasforma tutto in sé,
si spiritualizza con i baci perché ogni bacio sincero stampato sull’essere dell’altro,
è una confessione della sua alterità. Il bacio non può darsi a se stesso, dare
un bacio è una confessione assoluta dell’alterità.
Nel bacio comunichiamo la nostra anima e, allo stesso tempo,
accogliamo l’anima dell’altro. «L’anima incontra l’anima sulle labbra degli
amanti» (Percy B. Shelley).
Sappiamo, però, che i gesti del corpo sono simbolici e
intenzionali e possono, pertanto, diventare ambigui. Con un bacio si può
tradire, con un abbraccio si può soffocare. Nella lotta libera ci sono abbracci
di sottomissione. Per questo l’eloquenza del corpo, anche nella sua profondità,
ha bisogno di un tratto tipicamente umano: quello della parola.
A volte, un abbraccio può diventare una stretta ossessiva e
possessiva. A volte, il bacio può mascherare la mancanza di parole, proprio
come la genitalità compulsiva che nasconde la mancata e la mancante intimità.
Il nostro corpo è parola, ma ha bisogno anche di dirsi e di tradursi in parole,
in dia-logo.
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