Alla scuola della preghiera siamo sempre matricole. Chi mai è così stagionato dinanzi all’Eterno? Ne sa qualcosa l’Abbadessa benedettina Anna Maria Cà nopi che racconta le sue impressioni quando le si chiede di parlare di preghiera: «Ogni volta mi sento come una studentessa di scuola media che non trova le parole per cominciare a svolgere un tema».
Nel suo libro Di silenzi e di parole. L’arte della preghiera, edito per Città Nuova per la collana Prismi (nella
serie Segni edita da Claudio Cianfaglioni) parla della preghiera da tre
prospettive diverse: la preghiera come respiro dell’anima; la preghiera come “spazio”
per santificare il tempo; e la preghiera nel cammino storico di Cristo
rispecchiato, poi, nel cammino dell’uomo negli diversi stadi della sua vita. Il
libro si conclude con un quarto capitolo che raccoglie preghiere brevi per le
varie fasi della vita, dal grembo materno fino alla preghiera del morente.
Si è interpellati, quanto al respiro dell’animo,
a riconoscere la preghiera come realtà cosmica ove «tutta la natura ha una
voce. Ogni creatura è una nota musicale del concerto cosmico».
Le creature, nel loro silenzio e nei loro
canti dicono qualcosa, dicono Qualcuno. Ad esse si rivolgeva in un testo carico
di emozione Agostino Aurelio: «Interrogai la terra e mi rispose: “Non sono io”;
la medesima confessione fecero tutte le cose che si trovavano in essa.
Interrogai il mare, i suoi abissi e i rettili con anime vive, e mi risposero: “Non
siamo noi il tuo Dio; cerca sopra di noi”. Interrogai i soffi dell’aria e tutto
il mondo aereo con i suoi abitanti mi rispose: “Erra Anassimene, io non sono
Dio”. Interrogai il cielo, il sole, la luna, le stelle: “Neppure noi siamo il
Dio che cerchi”, rispondono. E dissi a tutti gli esseri che circondano le porte
del mio corpo: “Parlatemi del mio Dio; se non lo siete voi, ditemi qualcosa di
lui”; ed essi esclamarono a gran voce: “È lui che ci fece”. Le mie domande
erano la mia contemplazione; le loro risposte, la loro bellezza».
D’altronde, non ci ricorda Bernardo di
Chiaravalle che dagli alberi imparava su Dio più che dai libri? I loro tronchi
erano per lui sentenze di sapienza.
Le ali della preghiera sono gli aneliti più
profondi dell’uomo, è «il desiderio inesausto di bere alla sorgente della vita
per rimanere viventi». Nella preghiera ci si apre all’amore, ricevuto e donato.
Quest’apertura è precisamente dialogare con Dio e, quindi, pregare. «La
preghiera apre un buco nel nostro bozzolo e ci fa volare nel cielo di Dio».
Oltre la dimensione cosmica e desiderante, la
preghiera è anche una liturgia, opera del popolo. La Cà nopi considera due volti
importanti della preghiera comunitaria: l’ufficio e la messa.
L’ufficio della preghiera, come dice il suo
nome latino è l’Opus Dei, l’opera di Dio: è lo Spirito di Dio a pregare
in chi prega. È l’immersione del tempo nell’Eterno. Scandendo la giornata al
ritmo di preghiera e della memoria Dei, la preghiera dell’ufficio pone l’uomo
sotto lo sguardo del Signore.
La messa, invece, è l’ingresso nel “grazie”
(eucaristia) di Cristo verso il Padre. Ciò che avviene nella celebrazione
eucaristica diventa una missa, un mandato per «vivere nella concretezza
dei giorni l’alleanza d’amore che Cristo ha sancito con noi».
La preghiera, respiro dell’anima, è l’identitÃ
più profonda di Gesù. La Cà nopi considera, nel terzo capitolo, la vita di Gesù
nell’ottica della preghiera, guardando in modo speculare la vita dell’uomo, nelle
sue varie stagioni, come un viaggio orante. Il capitolo quarto chiude la
riflessione trasformando le stagioni della vita in elevazioni del cuore.