Il Piccolo Principe di Exupéry rappresenta «l’eterno sogno dell’infanzia perduta». Un dilemma che accomuna tanti, per non dire tutti. Non desta stupore che l’opera di Antoine de Saint Exupéry sia uno dei libri più letti dello scorso secolo. Ma questa piccola opera non è solo un inno nostalgico del passato. È anche una denuncia della vacuità dell’«insensato coercitivo mondo delle ‘persone grandi’». È anche un canto di fiducia nell’amore, un inno all’amicizia, alla responsabilità e alla bellezza.
Questi tratti
importanti della piccola opera di Exupéry sono stati lo stimolo per l’opera di
Eugen Drewermann, L’essenziale è invisibile. Una interpretazione psicanalitica del Piccolo Principe che ha raggiunto la sua sesta edizione
italiana presso la Queriniana.
La convinzione
dell’A. è questa: «Il ‘Piccolo Principe’ deve poter vivere sulla terra – questo
è lo scopo centrale del presente saggio teologico-psicanalitico, saggio che
nella parola e nell’immagine vorrebbe poter serbare nell’atmosfera del sogno i
densi simboli del famoso racconto fantastico di Exupéry, traendone una
direttiva per la vita».
Drewerman si
dedica a questa impresa, che sembra a prima vista contaminare con l’analisi il
semplice fluire delle immagini di Exupéry convinto che ogni vera poesia
condensa una realtà complessa che va colta e accolta per disvelare un simbolo
ricco e arricchente per la vita.
Lettura religiosa
Nella cifra
religiosa, questo piccolo bambino, come il «Bambino» del cristianesimo, passa
sulla terra portando una grazia e una graziosità che non viene accolta. «Venne
tra i suoi, ma i suoi non lo riconobbero». Eppure, la non accoglienza non
altera la sua natura, la sua grandezza, la sua regalità. Il Piccolo Principe,
quasi come un Gesù nel deserto delle tentazioni, non si lascia abbagliare dal
potere, dalla brama di notorietà, dalla carriera e dal danaro delle ‘persone
grandi’, «perché sa che tutto ciò che è umanamente vero e serve alla pace può
essere comprensibile e accessibile solo ai ‘piccoli’ (Mt 11,25)».
Senza il
retroterra del cristianesimo, della fiducia filiale in Dio, questo bambino-principe
non sarebbe comprensibile. È una figura religiosa, anche se non evoca Dio,
perché è la figura implicita di un bambino che nella sua fiducia in Dio ha
vinto la paura degli uomini e possiede quindi spazio per le semplici e belle verità
del cuore. «Il ‘Piccolo Principe’ vive solo come l’ombra fugace di una luce
religiosa che fu potente, e la sfera dei tramonti e della solitudine che l’avvolge
con la sua tristezza e malinconia è come un richiamo a qualcosa che dovrebbe
essere vivo, ma che è presente solo come linea indicativa».
Ci sono
comunque delle differenze tra il piccolo principe e il «bambino divino»: questi
incarna «una vita che ha vinto la morte; il ‘piccolo principe’ incarna un’infanzia
cui non fu dato realizzarsi; non la vita risorta, ma la vita già al fondo
soffocata vive in lui». Ed è qui che la lettura teologica cede il passo alla
lettura psicanalitica.
Lettura psicanalitica
Il piccolo
principe è da intendersi come ciò che è stato ucciso in noi ancora prima di vivere,
come «peccato originale», «cifra del ricordo di ciò che fu perduto, come
ritratto eterno di ciò che non fu vissuto e che necessariamente deve essere
vissuto».
E chi ha ucciso
e spento la vita al suo nascere? La risposta dell’A. è questa: «Sono gli uomini
che noi ammiriamo perché riescono a non sperare in nulla; a non attendere più
nulla, che sono morti nel bel mezzo della vita, perché sono letteralmente
‘finiti’ e provocano la fine di quanto non è adulto come loro».
Appuntamenti di gennaio e febbraio |
Da qui parte l’analisi
delle cinque figure di adulti che il Piccolo Principe visita. Sono figure
prigioniere della paura della libertà, della brama di possesso e di dominio, sono
fuggitivi dalla propria stessa vita.
Il rimedio a
queste esistenze alienate è «la saggezza del deserto e il cammino alla ricerca
dell’amore».
Qui l’analisi
di Drewermann non si sofferma solo sulla fiaba di Exupéry, ma va ad analizzare
il suo vissuto, tramite le sue lettere e i suoi scritti più personali.
Le parole di
Exupéry sono così infuocate e profetiche che giova lasciare a loro l’onore di
chiudere questa lettura:
Odio la mia
epoca con tutte le mie forze. L'uomo vi muore di sete. Ah generale, c' è un
solo problema, uno solo per il mondo: ridare agli uomini un significato
spirituale, inquietudini spirituali. Far piovere su di loro qualcosa che
rassomigli ad un canto gregoriano. Se avessi la fede, stia certo che, superata
quest'epoca di "mestiere necessario e ingrato", non potrei più
tollerare altro che la vita monastica. Non si può vivere di frigoriferi, di politica,
di bilanci e di parole incrociate, mi creda. Non più. Non si può vivere
senza poesia, senza colore né amore. Basta ascoltare un canto popolare del XV
secolo per misurare la china percorsa. Nulla resta, se non la voce della
propaganda. Due miliardi di uomini sentono il robot, capiscono solo il robot,
diventano robot. Tutti gli sconquassi degli ultimi anni non hanno che due
fonti: i guasti del sistema economico del XIX secolo e la disperazione
spirituale.
C'è un problema, uno solo: tornare
a scoprire che esiste una vita dello spirito più alta ancora di quella
dell'intelligenza, l'unica in grado di soddisfare l' uomo. Questo supera il
problema della vita religiosa, che ne è solamente una forma. E la vita dello
spirito comincia là dove un essere "unico" è concepito al di sopra
dei materiali che lo compongono. L'amore per la casa è già vita dello spirito.
E la festa del villaggio, e il culto dei morti...