Se la teologia vuole parlare all’uomo
concreto, non può ignorare come funzioni la “macchina” umana. Ci sono diversi
modi con cui si possono mettere psicologia e teologia sullo stesso binario per costituire
una piattaforma di collaborazione fruttuosa verso un fine condiviso. Uno di
questi modi è quello che non si accontenta di qualche nozione psicologica racimolata
per fini pastorali vari, ma che inserisce l’attenzione psicologica nel momento
stesso dell’elaborazione teologica per permettere a quest’ultimo una maggiore
incisività nell’accompagnamento della persona sulle vie di Dio.
È questo uno degli intenti del libro di Amedeo
Cencini e Alessandro Manenti, Psicologica e Teologia, che si inserisce
nella collana “fondamenta”, una collana introduttiva a varie discipline
(e inter-discipline) della EDB. L’impegno, in breve, che si prefigge è quello
di «formulare una sana alleanza fra il principio mistico e il principio
domestico della tradizione cristiana».
I contenuti sviluppati dagli autori sono
suddivisi in tre parti: contenuti a livello di visione antropologica della
persona umana; a livello intrapsichico e a livello di relazioni.
Gli autori mostrano come gli approcci della
psicologia e della teologia, pur essendo diversi, possono essere complementari.
Le affermazioni psicologiche sono di natura descrittiva e, per così dire,
statistica. Esse illustrano ciò che di fatto si realizza nella natura. Un
esempio è questa definizione dell’umano: «L’essere umano è fatto di emozioni,
bisogni, valori, atteggiamenti». La teologia assume un livello diverso: «L’essere
umano è fatto a immagine e somiglianza di Dio».
Mentre la teologia dice: «egli funziona così
perché “è” così», la psicologia dice: «egli è così perché “funziona” così». Gli
autori evidenziano come le affermazioni della psicologia sono «affermazioni
statistiche e non assolute», «affermazioni di fatto e non normative», e come
tali costituiscono criteri di utilità proposti al vaglio della verificabilità e
della comprensività.
Gli autori presentano la categoria di mistero
come punto di convergenza possibile tra psicologia e teologia. Essendo una
categoria al contempo psicologica e teologica, essa può costituire un punto di
intersezione e di reciproco dialogo. La trascendenza non viene considerata come
sinonimo di un “al di là” che si oppone all’“al di qua”, ma come qualcosa di
già presente. La trascendenza non è un enigma irrisolvibile, ma un mistero.
Mentre l’enigma interrompe la relazione dell’uomo con se stesso e con la
realtà, il mistero apre orizzonti di respiro e di comprensione.
Basandosi sull’approccio di Franco Imoda, gli
autori evidenziano che già l’io è un mistero per se stesso. Pe cui non si tratta
di dimostrare il mistero, ma di vederlo all’opera. C’è una grande differenza
tra l’accettare l’uomo come essere che si apre al mistero, e coglierlo come
mistero in se stesso, intrinsecamente. Il mistero non sta solo davanti a noi. Il
mistero è in noi. Il mistero siamo noi.
La psicologia e la teologia si trovano alleate
dinanzi all’irriducibilità del sinolo umano a risposte semplici e
semplicistiche.