Il sostantivo euaggelion – buona notizia
–, molto precedente ai vangeli, ricorre 76 volte nel NT, di cui 60 nella
letteratura paolina. Esso non compare nel vangelo di Luca e di Giovanni e in
quest’ultimo neppure il verbo. Il verbo euaggelizeini/euaggelizesthai
riccore 54 volte nel NT di cui 21 nella letteratura paolina e 33 negli altri
libri del NT.
Anche se il termine ricorre in altri contesti
non e precristiani, evangelo acquisisce un senso ben preciso con il
cristianesimo. Esso rappresenta fondamentalmente l’annuncio di Gesù Cristo fino
ad arrivare a costituire il genere letterario di vangelo che narra della
buona notizia di Gesù.
Giuseppe Segalla, nel suo imponente e
interessantissimo volume Evangelo e Vangeli. Quattro evangelisti, quattroVangeli, quattro destinatari, spiega che il genere letterario di “vangelo” è
«singolare ed unico come unica è la concezione cristologico-cherigmatica di “evangelo”.
Eventi nuovi creano forme letterarie nuove. L’evento nuovo di Cristo diede
origine al genere letterario “vangelo”, che narrava i fatti e le parole di Gesù
ed aveva come cornice da una parte il battesimo di Giovanni Battista e dall’altra
la morte-risurrezione».
Per questo motivo, Segalla precisa che «nessuna
delle raccolte preevangeliche può essere chiamata “Vangelo”, e tanto meno il
cosiddetto “Vangelo di Tommaso” scoperto a Nag Hammadi» perché il vangelo è «il
raccogy nto di ciò che Gesù fece e disse in una cornice narrativa, ma senza
alcuna pretesa per la cornice cronologica (a parte Luca) e topografica come in
una moderna biografia» (18).
I vangeli, pur potendosi chiamare a rigore “storia
di Gesù”, non corrispondono né alle bibliografie moderne e nemmeno a quelle
greco-romane (cf. 19). Il motivo di fondo risiede nel fatto che l’evangelista
non è solo uno trasmettitore di tradizioni, ma è, per così dire, un pioniere di
una tradizione, ovvero «un esegeta, che interpreta il racconto in relazione al
discepolato e alla vita della chiesa» (24). L’evangelista non è un saggista,
non è un teologo da tavolino e neppure – se vogliamo specificare il suo ruolo
sociale – uno scrittore eremita, ma è un uomo di chiesa che scrive a una
comunità precisa, spesso la sua. «L’evangelista – spiega Segalla – non è un
letterato o un accademico, anche se può essere un eccellente scrittore come
Luca. È un uomo che appartiene alla comunità cristiana e scrive per la comunità
cristiana. Forse fu questo uno dei motivi per cui la loro personalità rimase
nell’ombra; e di loro la tradizione posteriore ci dice poco più del nome e con
il nome la convinzione che fossero dei testimoni diretti di Gesù o discepoli
dei testimoni (Marco e Luca)» (39).
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Il volume di Segalla, pur essendo stato
redatto negli anni novanta del secolo scorso, mantiene una grande attualità,
motivo per cui è stato riedito. Quanto alla struttura, il volume si suddivide
in sette capitoli di cui tre introduttivi, quattro dedicati agli evangelisti
nella suddivisione che presentiamo nel paragrafo seguente e un ultimo capitolo
di inquadramento letterario, storico e teologico.
Nella sua analisi di ogni vangelo Segalla
suddivide innanzitutto il lavoro così: Marco, Matteo, Luca e Atti, Corpo
Giovanneo. Ogni capitolo, poi, segue questa struttura: Introduzione, struttura
letteraria, composizione e linguaggio, l’ambiente culturale ed ecclesiale di
ogni vangelo, la sua teologia, l’identità dell’autore.