In
quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un
uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di
sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te?
Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore
disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie
l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io
che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci
sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò
uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio
padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua
ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto
devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e
scrivi ottanta”.
Il
padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza.
I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli
della luce».
Fil
3,17-4,1 Sal 121 Lc 16,1-8
Con
fare provocatorio, Gesù sembra elogiare la disonestà. In realtà, questo vangelo
contiene due messaggi ricchi. In primo luogo, Gesù elogia l’astuzia e
l’intelligenza nella gestione dei beni materiali da trasformali in beni
relazionali. In secondo luogo, ed è il vero messaggio del passo, Gesù evidenzia
che anche ciò che è legittimamente nostro non è totalmente nostro e che i beni
di questo mondo ci sono in qualche modo “prestati” per essere mezzi di
comunione e non fini “isolanti”.