Cosa dicono gli storici dei vangeli? Carsten
Peter Thiede, storico tedesco, papirologo e studioso di letteratura di fama
internazionale offre la sua voce per rispondere a questa domanda nel volume Gesù, storia o leggenda (EDB, Bologna 2016, 180pp., € 16,50). Il libro, risalente
al 1990, mantiene una sorprendente attualità perché si basa su alcune
acquisizioni storiche assodate nonché sull’enciclopedica cultura di Thiede.
Il libro, scritto con uno stile divulgativo
che non tradisce però lo spessore accademico, ripercorre gli stili di vita
ebraici e romani, le scoperte archeologiche, i manoscritti più importanti a
disposizione… alla ricerca di una ricostruzione storica della vicenda credente
intorno alla persona di Gesù e gli scritti che narrano di lui.
Parlando dei “mezzi di comunicazione ai tempi
di Gesù, Thiede mostra i generi letterari adottati dai predicatori e dai
maestri per incidere i loro insegnamenti nelle menti dei loro discepoli e nell’uditorio.
Gesù era un maestro, vissuto in un ambiente dove qualsiasi istruzione veniva
impartita oralmente. Come ogni buon maestro, Gesù «sapeva condensare i propri
insegnamenti fondamentali in espressioni facili da memorizzare. Del resto, fin
dai primi anni di scuola, i ragazzi venivano esercitati nelle tecniche della
memorizzazione. […]. Un semplice sguardo al Discorso della montagna o al Padre
nostro, per esempio, ci mostra, anche in traduzione italiana, l’esistenza di
ritmi, strutture parallele delle frasi e altri elementi, intesi a facilitare la
memorizzazione».
Ai tempi di Gesù, e il discorso si applica a
tutta l’Antichità, lo scritto era considerato un «povero sostituto della parola
orale». Il contenuto comunicativo più importante era quello orale.
Nonostante questa preferenza per le fonti
orali, ci troviamo dinanzi a un numero impressionante di manoscritti riguardo a
Gesù. Thiede fa parte di quegli storici che argomentano per date più “precoci”
per le prime testimonianze letterarie su Gesù. Thiede fa parte di quegli studiosi
che propongono «per Marco gli anni 40, per Luca la fine degli anni 50 o l’inizio
degli anni 60, per Giovanni una data anteriore al 70 e indicano per Matteo, con
una scelta cara a quei pochi che considerano il suo Vangelo come il più antico,
la metà degli anni 30». Lo storico aggiunge: «Non c’è nulla di strano a
immaginare Matteo che stenografa i discorsi di Gesù, il più letteralmente
possibile, nell’originale aramaico e, all’occorrenza, in greco. Anche un
discorso come quello della montagna, così lungo e articolato, non poteva porre
seri problemi a uno stenografo».
Non è necessario pensare che i Vangeli si
siano seguiti uno dopo l’altro. Thiede si chiede, anzi, «dobbiamo proprio
pensare che gli evangelisti fossero lì che si stavano spiando l’un l’altro,
senza che nessuno di loro osasse cominciare a scrivere, finché finalmente una
comunità impaziente forzò la mano a uno di loro, a Marco?».
E spiega: «Penso che si possano vedere le cose
anche in un latro modo. C’era Matteo, con i suoi appunti stenografati; c’era
Marco che prendeva nota dell’insegnamento di Pietro; c’era Luca che esaminava accuratamente
tutto il materiale su cui poteva mettere le mani e c’era Giovanni che andava
veramente per la sua strada. A un dato momento cominciò a circolare, nel
piccolo gruppo dei discepoli e dei loro compagni, l’abbozzo del Vangelo di
Marco. Quell’abbozzo capitò fra le mani di Matteo e di Luca ed essi se ne
servirono per il loro scopo, mentre Marco era tutto preso dalle rifiniture del
suo testo. Poi, d’un tratto, ecco arrivare “sul mercato”, oggi diremmo in
libreria, il Vangelo di Matteo e quello di Luca; e il progetto di Marco, quello
che aveva risvegliato l’appetito degli altri, rimase l’ultimo dei tre a essere
completato e ad assumere la forma che ha oggi. È successo insomma quello che
certo non ignorano gli autori e gli editori dei nostri giorni!».
Oltre al lavoro sui documenti del NT, il
lavoro di Thiede offre ricche informazioni riguardo agli esseni e ai frammenti
di Qumran.