Il culto in generale, e il culto liturgico che
coinvolge il popolo in preghiera in particolare, costituiscono il luogo per
antonomasia dove il visibile e l’invisibile, il finito e l’infinito, il terreno
e il celeste, il corporeo e lo spirituale si toccano. In questo senso, il culto
è fautore di una sapienza e di una cultura. Spiega, infatti, Pavel Florenskij
che «la cultura, come risulta chiaro anche dall’etimologia, è un derivato del
culto, ossia un ordinamento del mondo secondo le categorie del culto. La fede
determina il culto e il culta la concezione del mondo, da cui deriva la
cultura».
Nel libro La filosofia del culto, edito
integralmente in prima traduzione mondiale fuori dalla Russia dai tipi della
San Paolo, Pavel Florenskij offre una sorprendente convergenza tra filosofia,
teologia, mistica e cultura letteraria e artistica portando il culto al di
fuori della stretta cerchia della prassi pietistica verso un orizzonte
integrale che mette insieme pensiero, sensibilità, esperienza spirituale… in
una parola, la «conoscenza integrale» dell’umano.
Per accostarsi alla comprensione del culto,
Florenskij invita a recuperare attitudini spirituali fondamentali come il timore
di Dio: «Se volete parlare della religione, cosa certo non moderna, dovete
riconciliarvi anche con la parola “timore”. Parola non di questo tempo, ma a
ogni tempo adatta. La religione è innanzitutto timor di Dio. E chi
intende penetrare nel santuario della religione, deve imparare ad avere timore.
La mancanza di timore è segno non di coraggio, ma, al contrario, di insolenza,
di quella sfacciataggine spirituale tipica delle nature codarde che si sentono
sicure della loro impunità».
Il timore – che si distingue dalla paura –
apre il cuore alla reverenza e costituisce nel culto un elemento fondamentale
simile a quel sentimento fondamentale della filosofia, lo stupore.
Il culto regala all’uomo una cultura nuova,
una cultura che permette una considerazione «dall’alto in basso», partendo dall’ottica
di Dio e dal primato di Dio. Concretamente, si tratta di uno sguardo alla creazione
condensata nel Simbolo apostolico che contempla tutta alla luce e nella luce
della confessione della «Trinità Consustanziale e Indivisibile».
La liturgia, allora, non resta nei meandri del
«sentimento religioso», ma diventa il fulcro di tutta una filosofia dell’esistenza.
«La liturgia – scrive Florenskij – è il punto centrale e le altre attività
crescono attorno a essa o, più precisamente, da essa si separano. Il sistema
delle idee è inizialmente un sistema che si accompagna al culto».
Ritorna qui un concetto che abbiamo accennato
precedentemente che riportiamo a riassunto di questa breve presentazione: «La
cultura, come dimostra anche l’etimologia della parola (da cultus), ha
come suo nucleo e radice il culto. Cultura, che è forma del participio futuro
– come natura – si riferisce a qualcosa che si va sviluppando. La natura
è ciò che sempre rinasce, la cultura è ciò che dal culto si separa, come
un germoglio, un tralcio, uno stelo laterale. I luoghi e gli oggetti sacri sono
l’opera prima dell’uomo, mentre i valori culturali sono derivati del culto,
strati che dal culto si staccano come le pellicole secche dalla cipolla».