Umano, troppo umano. Questo titolo celebre di Nietzsche può benissimo definire l’evento Gesù Cristo. L’umanità di Gesù è scomoda proprio quanto lo è la sua divinità. Sono passati più di duemila anni, ma le nostre pupille non si sono ancora adattate per accogliere tutto il chiarore della sua luce.
Gesù ci scandalizza ancora oggi. La sua kenosi – il suo abbassamento – sfida perennemente le nostre idee sull’Altissimo. È scandaloso l’Eterno che abbraccia il limite, la Parola che riveste il silenzio, lo Spirito che diventa carne. È umano, troppo umano!
Se dovessimo inventarci un Dio, non lo faremmo così scomodo, così umano. Quando inventiamo un divino, ci piace divino, troppo divino. Cristo non si lascia forgiare dalla comune idea umana di Dio, ma mostra un volto inedito di Dio, un volto «divinamente umano» (come direbbe il filosofo Léon Ollé-Laprune).
L’umanità di Dio ci invita a essere autenticamente umani. Non si può essere discepoli di un Dio incarnato disprezzando il tempo, la materia, la carne, i legami, la storia... Il Dio che il primo capitolo della Genesi presenta come un Dio che dice bene della creazione e la bene-dice, ci invita ad evitare ciò che François Varillon definisce come «spiritualità di massacro».
A distanza di più di un secolo, le parole del poeta Charles Péguy, in cui denuncia i cosiddetti spiritualisti, mantengono una sorprendente attualità:
Coloro che prendono le distanze dal mondo, coloro che prendono quota a partire dal mondo, abbassando il mondo, non s’innalzano. Rimangono alla stessa altezza. […] Non basta abbassare il temporale per elevarsi nella categoria dell’eterno. Non è sufficiente abbassare la natura per elevarsi nella categoria della grazia. Non basta abbassare il mondo per salire nella categoria di Dio.
Criticando in seguito il partito dei falsi devoti, lo stesso poeta afferma:
Poiché non hanno la forza (e la grazia) di essere della natura, credono di appartenere alla grazia. […] Poiché non hanno il coraggio di essere del mondo, credono di essere di Dio. Poiché non hanno il coraggio di appartenere a uno dei partiti dell’uomo, s’illudono di appartenere al partito di Dio. […] Poiché non amano nessuno, credono di amare Dio.
In una poesia intitolata significativamente Eva, Péguy riassume il paradosso divenuto realtà in Cristo: «Il soprannaturale stesso è carnale, e l’albero della grazia è radicato nel profondo. L’eternità è nel temporale, e il tempo stesso è un tempo atemporale».
Il Verbo si è fatto carne. Egli stesso si è fatto la nostra via verso la vita vera. Per questo Agostino esorta: «Passa attraverso l’uomo e giungi a Dio» (Ambula per hominem, et pervenis ad Deum). Se, come esseri umani, siamo chiamati alla divinizzazione – a essere «partecipi della vita divina» (2Pt 1,4) – Varillon ci ricorda che «Dio divinizza solo ciò che l’uomo ha umanizzato». Non che l’umanizzazione e la divinizzazione siano però passaggi successivi. È entrando nella somiglianza, nell’imitazione e nella conformità alla reale umanità di Cristo che siamo divinizzati.
Cristo, infatti, è «vero uomo» ma anche «l’uomo perfetto», e chiunque lo segue «diventa anch’egli più uomo» (Gaudium et Spes 22.41), diventando «divinizzato» perché si lascia trasportare dalla corrente d’amore folle che Gesù fa sgorgare nei cuori di coloro che si abbeverano alla sua sorgente.
Questo libro è un invito a guardare con occhi semplici alla sorpresa dell’umanità di Dio, a lasciarsi investire dalla meraviglia e rivestire dal calore dello sguardo divinumano di Dio posato su di noi. A ragione Alda Merini parlando della fede la descrive così: «E questa è la fede, e questo è lui, / che ti cerca per ogni dove / anche quando tu ti nascondi / per non farti vedere».
Parlo di «occhi semplici» perché, quando con cuore puro e sincero, permettiamo alla condiscendenza di Dio di trasformare il nostro infantilismo saccente in un’infanzia matura e limpida, entriamo nella beatitudine: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio». È alquanto evangelico l’appello del «Profeta» di Khalil Gibran: «E se volete conoscere Dio, non siate per questo dei solutori di enigmi. Guardatevi intorno, piuttosto, e lo vedrete giocare con i vostri bambini».
*
Il testo è tratto dalla terza edizione del libro Un Dio umano. Primi passi nella fede cristiana, Edizioni San Paolo.
Coloro che prendono le distanze dal mondo, coloro che prendono quota a partire dal mondo, abbassando il mondo, non s’innalzano. Rimangono alla stessa altezza. […] Non basta abbassare il temporale per elevarsi nella categoria dell’eterno. Non è sufficiente abbassare la natura per elevarsi nella categoria della grazia. Non basta abbassare il mondo per salire nella categoria di Dio.
Poiché non hanno la forza (e la grazia) di essere della natura, credono di appartenere alla grazia. […] Poiché non hanno il coraggio di essere del mondo, credono di essere di Dio. Poiché non hanno il coraggio di appartenere a uno dei partiti dell’uomo, s’illudono di appartenere al partito di Dio. […] Poiché non amano nessuno, credono di amare Dio.
Parlo di «occhi semplici» perché, quando con cuore puro e sincero, permettiamo alla condiscendenza di Dio di trasformare il nostro infantilismo saccente in un’infanzia matura e limpida, entriamo nella beatitudine: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio». È alquanto evangelico l’appello del «Profeta» di Khalil Gibran: «E se volete conoscere Dio, non siate per questo dei solutori di enigmi. Guardatevi intorno, piuttosto, e lo vedrete giocare con i vostri bambini».
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Il testo è tratto dalla terza edizione del libro Un Dio umano. Primi passi nella fede cristiana, Edizioni San Paolo.