David Maria Turoldo è un uomo che ha saputo comunicare con la poesia in un mondo prosaico. Un uomo amato da alcuni, odiati da altri, indifferente per nessuno. La sua radicalità urbana e colta non poteva passare inosservata.
La passione di Turoldo lo porta a una schiettezza e a un’autenticità evangeliche che non danno requie, né a lui, né a chi lo legge. D’altronde, per lui un profeta non è uno che annuncia il futuro, ma uno che denuncia il presente.
Con Giancarlo Bruni, egli è convinto che «sbagliarsi su Dio è un dramma, è la cosa peggiore che possa capitarci, perché poi ci sbagliamo sul mondo, sulla storia, sull’uomo, su noi stessi. Sbagliamo vita». Per questo, il libro Cammino verso la fede, il quarto della “Biblioteca Turoldo” in fase di pubblicazione dalla San Paolo, esprime non un punto raggiunto, ma una partenza continua e assoluta. L’uomo di Dio vive nella tensione dinamica: «Io sono certo di Dio, ma non sono mai sicuro di possederlo».
Le certezze raggiunte possono offuscarsi nelle apparenze che oscurano le quotidiane apparizioni di Dio. Il Mazzolari ricordava una cruciale differenza: «Altro è credere e altro è credere di credere». Turoldo non guarda alla propria fede come una acquisizione, ma come una continua sfida che richiede l’affidamento della preghiera: «Signore, io credo, ma tu aiuta la mia incredulità» (Mc 9,24).
La fede è un cammino e la preghiera ne è una eloquente esplicazione. Ci ricorda Turoldo che pregare non è scomodare Dio, «non è Dio che deve mutare, sono io che devo cambiare. No, Dio non deve essere disturbato! Disturbiamo noi stessi e finiamola di fare della religione una cura».