È nella convinzione ostinata che il male non è la condizione di normalità, perché siamo fatti per il bene. Dio sta nel bene che facciamo.
Il bene è lo stato naturale dell’umanità, è il sogno di Dio sull’umanità e per l’umanità. Il male snatura l’uomo. Offusca, per così dire, il sogno di Dio.
Il bene è lo stato naturale anche del mondo, perché il Bene, il Sommo Bene, ha creato il mondo e vide che era tob, cosa bella e buona[1].
Nel dolore Dio è presente nella ribellione al male, nell’iniziativa dei buoni, nel desiderio di risorgere, perché – nel cuore della morte – il Signore è il Dio della vita, il Dio degli uomini vivi e viventi[2].
Nel cuore del male, Dio è la rivolta del bene.
Nel silenzio della storia, Dio è la voce degli oppressi, è nella voce e nelle braccia di chi lotta contro l’oppressione. «La protesta contro la sofferenza di questo mondo non è altro che l’ardente brama di un mondo felice. […] Non accusiamo Dio per le sofferenze di questo mondo, ma nel nome di Dio protestiamo contro le sofferenze e contro coloro che ne sono causa»[3].
Nella protesta contro il male c’è la dimostrazione e la manifestazione del Bene. Il rifiuto del male mostra che il bene è più originario e più radicale.
La Scrittura insegna che Dio non salva dalla sofferenza, ma nella sofferenza. Dio non manipola la creazione eliminando in anticipo il male, non elimina la zizzania prima del raccolto finale[4], ma vince il male con il bene che i suoi eletti operano.
Nella croce il dolore causato dall’odio inconsapevole dell’umano diventa causa di salvezza attraverso cui l’amore consapevole si dona perdonando: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno»[5].
Il male perde, perché Cristo accetta di diventare preda, vittima immacolata, agnello condotto al macello senza aprire bocca[6]. Quel suo silenzio diventa la parola e la risposta più eloquente dinanzi al male.
Il male lo trafigge, ma non lo contamina. Tenta di giungere con la lancia fino al suo cuore, ma lì trova solo il culmine ostinato della donazione totale di sé, la luminosità del Bene assoluto ed estremo che lo stermina e lo annienta.
Dov’è Dio nel dolore? – è sulla croce. Lì, colui che ha accettato non tanto di morire, quanto di dare la vita[7], non ci salva dalla croce, ma nella croce. Non ci salva dal dolore, ma nel dolore. Il suo dolore dona senso al nostro. «Nella Croce di Cristo non solo si è compiuta la redenzione mediante la sofferenza, ma anche la stessa sofferenza umana è stata redenta»[8].
Il dolore dell’uomo è assunto in quello dell’«uomo dei dolori»[9]. Alla luce di Cristo, si legge e si chiarisce il mistero della sofferenza. Si chiarisce, per così dire, il punto di vista di Dio e l’atteggiamento di Dio dinanzi ai vari volti del male e della sofferenza. «Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori»[10].
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Tratto da Robert Cheaib, Oltre la morte di Dio. La fede alla prova del dubbio, Edizioni San Paolo 2017, pp. 61-64.
[1] Cf. Gen 1.
[2] Cf. Mt 22,32; Ireneo di Lione, Contro le eresie IV, 20, 7.
[3] J. Moltmann, Il Dio vivente e la pienezza della vita, Queriniana, Brescia 2016, 104.
[4] Cf. Mt 13,29.
[5] Lc 23,34; cf. Giovanni Paolo II, Lettera apostolica “Salvifici doloris” (11 febbraio 1984), nn. 13.18-23.
[6] Cf. Is 53,7.
[7] Cf. Gv 10,18.
[8] Giovanni Paolo II, Lettera apostolica “Salvifici doloris”, 19.
[9] Is 53,3.
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