Fino al 1941, l’opera nota come Dialogo conEraclide del maestro Origene d’Alessandria era sconosciuta. Essa venne alla luce in un modo e in un contesto del tutto inatteso, ovvero grazie a dei militari britannici che ritrovarono alcuni papiri a Tura, nei pressi del Cairo in Egitto.
Il testo, pubblicato da Città Nuova Editrice in greco e con una traduzione italiana ricca di note, si inserisce nel progetto dell’Opera Omnia quale volume XVIII. La documentata introduzione del curatore, Roberto Spataro offre una contestualizzazione generale dell’opera che parte dalla sua scoperta, ne analizza il genere letterario, la datazione e i personaggi figurati nel dialogo origeniana, offrendo, infine, anche una presentazione delle linee teologiche fondamentali svolte dal maestro alessandrino. A proposito di queste ultime, a mo’ di presentazione, offriamo alcune linee fondamentali della tematiche presenti nell’opera, le quali possono essere ricondotte a due ambiti fondamentali: l’ambito cristologico-trinitario e quello antropologico.
Il Figlio in rapporto al Padre
Nel suo dialogo, Origene – che, naturalmente, non usufruisce ancora delle formulazioni canoniche dei Concili successivi – dibatte sulla relazione tra Padre e Figlio utilizzando la discutibile espressione «due dèi» di cui egli stesso riconosce l’equivocabilità. L’intento di Origene era quello di evidenziare la distinzione tra Padre e Figlio senza negarne l’unità. Nello spiegare l’espressione, infatti, l’alessandrino spiega il compito e la sfida teologica ivi posta: «Bisogna mostrare in che senso siano due e in che senso i due siano un solo Dio» (Dial, 2). Mostrando che questa unità è ben diversa e ben oltre l’unità dell’uomo e della donna in una sola carne, Origene aggiunge: «all’unione di Cristo con il Padre non è stata attribuita né la parola “carne” né la parola “spirito”, ma un termine di maggior valore, cioè “Dio”. Conseguentemente, in tal senso noi interpretiamo l’espressione: Io e il Padre siamo una cosa sola» (Dial, 4).
Se con la prima parte del dialogo Origene rifiuta il monarchianesimo, egli si concentra nella paret successiva a rifiutare il docetismo insistendo sulla vera umanità di Cristo. Parlando della morte di Cristo, Origene afferma: «non è assolutamente possibile che una realtà spiritale diventi un cadavere» (Dial, 5).
Cristo assume tutto l’uomo per salvare l’uomo intero. «Il nostro Salvatore e Signore, nella sua volontà di salvare l’uomo, come di fatto ha voluto salvarlo, per questo fine, come volle salvare il corpo, così volle salvare ugualmente anche l’anima, e volle salvare anche la restante componente dell’uomo, cioè lo spirito. L’uomo nella sua integrità non sarebbe stato salvato se il Salvatore non avesse assunto l’uomo nella sua integrità. Vanificano la salvezza del corpo umano, se dicono che il corpo del Salvatore era solamente spirituale» (Dial, 7).
Fede e opere
Origene fa una interessante digressione nell’opera a un tema che diventerà cruciale oltre 13 secoli dopo nel dibattito con il protestantesimo: il tema delle fede e delle opere. Il maestro esordisce chiarendo che saremo giudicati sia per la nostra fede sia per la nostra vita: «Noi siamo giudicati dalla rettitudine dell’una e dell’altra, e nel caso di mancanza di rettitudine di entrambe, siamo puniti per entrambe» (Dial, 8). Per questo, Origene invita a una rettitudine convergente di fede e di vita: «Se dunque vogliamo essere salvati, quando ci impegniamo nella fede, non trascuriamo la nostra condotta di vita, né, d’altra parte, riponiamo la fiducia in modo temerario nel nostro genere di vita: dobbiamo riconoscerlo, dobbiamo comprenderlo bene, dobbiamo crederlo, noi riceviamo l’assoluzione o la beatitudine, o ciò che ad essi è opposto, per la fede e per la vita».
La seconda parte antropologica, oltre a riflettere su tematiche di omonimia carnale di realtà psichiche spirituali, offre un’interessante riflessione di Origene su un tema in lui ricorrente, quello dei sensi spirituali.
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