di Simone Bruno

...Così, durante il sonno, Dio estrae dall’uomo una costola. La scelta della costola fa riferimento sia a questioni di filologia sia a questioni di mitologia dell’Antico Vicino Oriente. In sumerico, per esempio, il medesimo segno idiografico indica freccia, costola e vita. 
A noi, però, interessa soffermarci sulla tradizione ebraica, secondo la quale la donna non è stata creata dalla testa dell’uomo, altrimenti sarebbe stata più intelligente dell’uomo stesso; ma neanche dai piedi, perché sarebbe stata sottomessa all’uomo. Non solo, ma la donna non è stata creata dagli occhi, altrimenti sarebbe stata troppo curiosa; e neanche dalle orecchie perché sarebbe stata troppo pettegola È stata creata, invece, dal fianco, appena sotto il cuore, perché fosse un essere alleato alla sua altezza. E, dunque, perché, percependo un vuoto sotto il suo cuore, l’uomo avvertisse dentro di sé una mancanza, che sarebbe stata colmata soltanto dalla donna.
Ecco affiorare il primo indizio che attesta la reciprocità relazionale: uno è il reciproco dell’altra, e viceversa. La coppia viene inaugurata e legittimata da un duplice riconoscimento identitario, all’interno del quale la “costola” simbolicamente funge da elemento di congiunzione e separazione: l’uomo comprende che solo la donna può renderlo tale, in modo integrale (sia nella dimensione corporea sia in quella spirituale e relazionale). La donna intuisce che solo l’uomo le conferisce la sua statura femminile completa.
Tornando al brano, dunque, notiamo che la donna non è creata dalla terra, ma dalla costola. Quale nome le sarà affidato? Se l’uomo si chiama Adam, la donna verrà chiamata Adamà? Non proprio. L’uomo attribuisce alla donna un nome diverso, che non ricorda, nella stessa, l’origine dalla polvere del suolo (anche per questo la donna può liberare l’uomo dalla solitudine).
La prima parola che l’uomo dice nella Bibbia è un’espressione di stupore di fronte alla donna: «Questa volta è ossa delle mie ossa e carne della mia carne, questa la si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tratta». «Questa volta», dunque, non prima e neanche dopo. È questa che si chiamerà donna, perché dall’uomo “questa” è stata tratta: costei, proprio lei. È a questo punto che
Adam viene nominato non più come Adam, ma come Ish, cioè come uomo. È interessante notare che di fronte alla donna anche l’uomo trova un nome nuovo: si chiamerà Ishà, cioè donna, perchè
da Ish è stata tratta. Somiglianza, differenza e identità sanciscono la reciprocità nel legame.
«Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola» (v. 24). Siamo dinanzi a un commento del narratore; dunque, non si tratta di un comando da parte di Dio, come in passato è stato interpretato. In questo versetto, è come se l’autore sacro, a partire dall’affermazione che l’uomo dice davanti alla donna, spiega che cosa capita: l’uomo abbandona la casa di suo padre e si unisce alla donna.



Questo potrebbe indicare che la relazione tra l’uomo e la donna diventi il culmine della creazione, come se fosse l’ultima opera a essere menzionata: manifestarsi come una “sola carne”. L’unione tra i due si regge sulla somiglianza che intercetta i tratti comuni e compatibili e sulla differenza che innesca l’attrazione per ciò che diverge e attira.
«I due erano nudi, ma non ne provavano vergogna» (v. 25). Finiamo con il versetto 25, in cui si dice che l’uomo e la donna erano nudi e non ne provavano vergogna. La nudità ha un significato simbolico ed esprime l’essere poveri e spogli. Ma le due dimensioni, quella della povertà e quella della spoliazione, sono vissute senza vergogna e senza paura, in modo reciproco; come a dire: «Lo sguardo dell’altro/a non mi minaccia, non mi fa arrossire; personalmente io riesco ad affrontarlo/a senza il timore che la mia nudità possa diventare un motivo di debolezza per me di fronte alla forza dell’altro/a. Dunque, io posso vivere la mia povertà in una dimensione di intimità e di profonda comunione con l’altro/a, senza timore».

Abbandono, nudità e intimità testimoniano la cura dell’essere reciproci».
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