Quando dall’editrice Tau mi è giunto il libro di Maria Rosaria Fiorelli e Giovanni Gentili, Un rapper alieno è atterrato nella nostra famiglia. Diario sincero di un’adozione internazionale, con espressa richiesta di avere un parere «sincero e spietato», mi ha invaso una nuova ondata di dispiacere.
Spesso, infatti, mi capita di ricevere testi con la richiesta di lettura, commento, analisi, recensione… E subito il mio angelo realista mi sussurra nell’orecchio: «Ma come farai? Di’ di no!». Non è cattiveria… ma davvero non si può fare tutto. Vorrei ogni tanto inviare, a chi mi fa questo tipo di “regali”, una istantanea della mia scrivania invisibile perché sepolta da un numero indeterminato di libri che devo leggere, volumi che vorrei leggere, fogli, foglietti, note, scadenze, sogni ed incubi...
È capitato, però, che ho conosciuto personalmente gli autori al Convegno di Mistero Grande di quest’estate a Sacrofano e, vedendo la delicatezza e la luminosità delle persone, ho fissato in mente l’intenzione: dopo il ritorno dalla vacanza di famiglia, sfoglierò – e sottolineo «sfoglierò» – il libro.
Letta la preziosa prefazione di Mons. Renzo Bonetti (sulla cui qualità non avevo dubbi), ho iniziato a leggere le prime pagine… ok… subito un nodo alla gola! Non di tristezza, ma di presa di coscienza per la profondità che già l’inizio di questa storia, narrata sotto la Luce giusta, offre. Ho subito capito che non è una cronistoria, ma un contagio, una storia che – leggendola – ti segna. Non è una storia che ti intrattiene, ma ti trattiene, ti interroga e ti invita a prenderne atto e a portarne il frutto che ti riguarda.
Immediatamente hanno iniziato ad affollare la mia immaginazione i numerosi incontri, le richieste, le mail, le domande di chi, come Maria Rosaria e Giovanni, ha osato sognare una casa piena di vita e si è trovato con il numero non contemplato di figli: zero.
In una narrazione così, la voce più autorevole e più toccante è quella degli autori. Sentiamo insieme l’inizio della loro storia:
«Passavamo per due “bravi ragazzi”, prima di incontrarci, e una “bella coppia”, una volta insieme, così ci dicevano, e un po’ avevamo finito per crederci. Camminavamo nella Chiesa e quando ci siamo sposati ci sembrava di aver meditato proprio su tutto.
[…] Quando, però, dai il via ai cantieri e ti apri alla vita, se la vita non risponde come ti aspetti, cominci a intuire che non dipende tutto da te, che nei tuoi progetti c’è qualcosa da ripensare.
L’infertilità è stata una ferita che, come ogni taglio, è venuta a rompere qualcosa, ha spezzato i nostri progetti, ci ha messo di fronte ad una resa: la necessità di consegnarli ad un Altro. Non erano più nostri. Quei progetti da “bravi ragazzi” coltivati fin dal fidanzamento, quei desideri buoni e buonisti dai contorni ancora vaghi, nutriti di tanto “fare”, grandiosi fino a comprendere il mondo, quei sogni con cui eravamo entrati nel matrimonio, quei progetti hanno rivelato il loro limite: erano solo nostri».
La storia di Maria Rosaria e Giovanni inizia qui. Qui dove tante storie finiscono, inciampano, tentano di sfondare il muro del limite frantumando la propria serenità. In quel crogiuolo del dolore puoi ribellarti, puoi urlare il dolore, lanci contro un cielo che sembra ingiusto i tuoi giusti perché, o puoi rimetterti in viaggio e scoprire che la fecondità è molto di più della fertilità, perché, «se è vero che la vita non passa dal tuo corpo, passa, tuttavia, dalla tua coppia, da quel “sì” pronunciato all’inizio e si nutre di tanti altri “sì” fino al punto che l’amore trabocchi nella possibilità di donarsi agli altri, ad un altro, ad un figlio».
Sposarsi è accogliere il sogno di Dio. Da questo testo si evince chiaro che questo sogno non è l’ombra o lo specchio dei nostri bisogni, ma è uno stacco, un salto verso la fantasia divina che sa incrociare i nostri sogni con i bisogni degli altri per farci diventare collaboratori del risanamento di un mondo ferito dall’ingiustizia e balsamo per le ferite che la vita al suo passaggio infligge.
Se Mons. Bonetti sottolinea nella sua prefazione la parola divenire, vorrei chiudere questa recensione breve con un’altra parola che riecheggia la direzione del divenire: comunione.
In questo Diario si impara che la comunione in famiglia non la si trova bella e pronta, ma è una comunione da costruire con impegno, dedizione ed allargamento di orizzonti aprendosi all’imprevedibilità della vita e alla vitalità della provvidenza.
Papa Francesco dice riguardo alla comunione che è unità nella diversità. Commentando quest’espressione, Giovanni, il papà, scrive: «Lo Spirito Santo genera la diversità per la ricchezza e non per la confusione; quando ci ostiniamo a voler fare l’unità secondo i nostri disegni umani, finiamo per portare l’uniformità e l’omologazione. E, quindi, non la comunione».
Dal canto suo, Maria Rosaria testimonia che la comunione è un processo graduale che impegna presenza e costanza: «Ogni attimo nasce un pezzetto di famiglia, consolando tristezza, spiegando motivazioni, accettando distanze, inventando situazioni, strappando un pezzetto di unità al rischio di vivere vicini senza creare legami!».
Questo diario non canonizza i suoi autori, ma invita a guardare a un altro canone d’amore: quello che attraversa le croci verso la luce pasquale, quello che vede l’Oltre e acquisisce la capacità di vedere la fecondità oltre l’infertilità.
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