«L’uomo è per natura la creatura che termina senza avere, in senso terreno, completato e perfezionato le cose, e questa sua interruzione getta su tutto il suo esserci un’apparenza di inutilità». Basterebbero queste parole di Hans Urs von Balthasar per intuire il tono della sua riflessione escatologica nell’inedito, presentato per la prima volta nel 2005 e tradotto recentemente per i tipi della Queriniana con il titolo Escatologianel nostro tempo. Le cose ultime dell’uomo e il cristianesimo.
Quella del teologo di Basilea, non è un’escatologia “divinatoria” su quello che sarà, ma è una ricca riflessione esistenziale, culturale e teologica allo stesso tempo. Una vera «teologia della finitezza» come la mette W. Löser.
Balthasar, con un sensibilità che anticipa l’evoluzione della riflessione escatologica recente, avverte dall’inizio della sua opera che “le quattro cose ultime”, come solitamente vengono chiamate morte, giudizio, paradiso e inferno non possono costituire «una sorta di episodio all’esistenza umana». Queste quattro realtà si ripercuotono immancabilmente su tutto l’esserci temporale. Esse non sono un epilogo, ma una ricapitolazione. Sono la luce che viene gettata sulla vita per rivelare quello che è stata e quello che è.
«La loro verità è misura; guardando ad esse, la vita si regola giustamente». Scrive Balthasar: «Dentro di noi – e da nessun’altra parte – paradiso e inferno, quanto meno la morte (secondo Scheler, Simmel, Rikle, Heidegger), così come il giudizio è già insito nella vita […]. Proprio perché le “cose ultime” sono l’orizzonte trascendente dell’esserci, il loro riverbero è immanente ad ognuno dei suoi momenti».
Uno può anche mettere in dubbio giudizio, inferno e paradiso, ma non può farlo rispetto alla morte, il cui «crudo factum è tutt’altro che un limite non problematico dell’esserci, anzi – in quanto limite – la morte solleva più di ogni altra cosa tutte le decisive questioni della vita. La si può saggiamente salutare come liberatrice o come annunciatrice, ma non si può fare a meno di sperimentarla come un’intrusa e una scompigliatrice assoluta».
Balthasar esplora alcune delle risposte che si è tentato di dare lungo i secoli riassumendole in tre: la soluzione magica, la soluzione idealistica e la soluzione cosmica.
Balthasar prosegue nell’esplorazione attraverso una rassegna dei luoghi fondamentali dell’escatologia occidentale mostrando l’insufficienza della platonica sopravvivenza e immortalità dell’anima, ma anche l’ingenua concezione di vedere nell’aldiqua un semplice preludio verso la futura esistenza considerata come l’unica vera.
Giunge così la proposta balthasariana che si articola in quattro tesi:
1. Unicamente Dio è la realtà ultima dell’uomo. L’uomo, morendo, va a Dio. Dio è la sua verità e perciò il suo giudizio e quindi la sua eterna salvezza o perdizione. «Secondo l’intenzione divina l’uomo nasce per Cristo, per il suo inserimento in lui come membro del suo corpo mistico».
2. L’accesso alla vita eterna di Dio è dischiuso da Cristo. Interpretare la creazione nella luce di Cristo non significa soprannaturalizzarla o saltare i suoi contenuti temporanei di senso. Cristo si fa veramente uomo: come l’essere-uomo potrebbe non significare nulla per Dio! Ed egli si fa essere umano per salvare l’umano e per salvare per mezzo di lui il cosmo. Cristo è la chiave che dischiude tutto. In Cristo, Dio discende nel tempo, l’uomo sale all’eternità. Scendendo, Dio riempie il temporale di senso eterno. L’uomo, salendo, riceve un compimento di senso nell’eternità di Dio.
3. La risurrezione di Cristo avviene dallo Sheol. Data la discesa di Cristo negli inferi, «non c’è nessuna morte che non possa essere recuperata, nemmeno la più dannata, perché chi tra i figli degli uomini può paragonarsi al Figlio eterno, dove si tratta dell’esperienza dell’eterna origine da Dio Padre, dell’eterno dipendere e del sempre nuovo sgorgare da lui, dell’esistenza nella fonte della generazione? Chi come lui quindi può valutare nella profondità ultima che cosa vuol dire essere abbandonato, piantato in asse dal Padre? quale poena damni è comparabile a questo?». Cristo assume la dannazione dei dannati per salvare molti. «Uno ha attraversato il mondo della perdizione e sotto i passi compiuti da colui che era il più perso e il più abbandonato, questo carcere è crollato. L’essere-cristiano esiste innanzitutto per questo evento; in questa discesa il cristiano è battezzato, come sanno bene i Padri della Chiesa».
4. Il nostro tempo nell’eternità. La vita eterna di Dio, nel cui spazio di vita deve entrare la creatura per mezzo della grazia di Cristo, non può essere compresa come una semplice “continuazione”, sia pure migliorata, della vita temporale. Questa rappresentazione non è adeguata, perché l’eternità è “contemporanea" ad ogni momento dell’esserci temporale dell’uomo. Di più ancora: era immanente perché, in forza dell’unione ipostatica dell'Uomo-Dio e della sua risurrezione, il cristiano quanto meno (e in modo incoativo ogni uomo) possiede la grazia di vivere il suo tempo nell’eternità, la sua terra nel cielo, persino la sua mortalità nel mondo della risurrezione.
Riassumendo, l’opera di Balthasar, che – come puntualizza Jan-Heiner Tück nella sua Postfazione – rientra nella sua seconda fase di riflessione escatologica, possiamo vedere una concentrazione teologica e cristologica dell’escatologia in chiave esistenziale che si riassume in due punti: la reciproca compenetrazione tra vita terrena e vita eterna da un lato, e la personalizzazione delle istanze dei novissimi, personalizzazione che si riassumono nelle celebri parole di un altro saggio balthasariano: «Dio è la realtà ultima della creatura. In quanto conquistato è cielo, in quanto perduto è inferno, in quanto ci esamina è giudizio, in quanto ci purifica è purgatorio. […] Lo è però così com’è rivolto al mondo, cioè nel suo Figlio Gesù Cristo, che è l’aspetto rivelato di Dio e quindi il compendio delle “ultime cose”».
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