«Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno le cose che nessun maestro ti dirà». Probabilmente questo pensiero di san Bernardo di Chiaravalle descriva al meglio l'atmosfera che l'ultimo libro di Anselm Grün tradotto in italiano per i tipi della Queriniana con il titolo Cime e valli della vita.
Il libro parte dalla passione del noto monaco benedettino per le montagne, le scalate e le camminate in natura. l'a. sviluppa tutta una riflessione analogica sulla vita a partire dagli accorgimenti, delle scoperte, dei rischi, degli alti e bassi e delle emozioni generate dall'attività di escursionismo. Così il camminare, lo scalare le montagne e la discesa a valle diventano istruzioni per l'uso per le cime e le valli della vita.
La sapienza dei piccoli passi
Le lezioni sono tante. Abbiamo lezioni sulla sapienza della progressività e della gradualità: «Quando si vede un alto Monte davanti a se si pensa di non farcela a scalarlo. Ma se vado passo dopo passo, se mi prefiggo delle piccole tappe intermedie alla fine arrivo in cima» (p. 6)
La stessa progettazione del viaggio si trasforma in una lezione di vita:
Grün offre un’immagine ricca: «In bici ancora ancora posso portarmi dietro qualcosa che non è assolutamente necessario. Se invece sono io a portare lo zaino devo riflettere bene su che cosa metterci dentro.
«La vita la attraversiamo a piedi. Non ci muoviamo con l'automobile o in bicicletta. Perciò occorre vagliare attentamente quello che mettiamo nello zaino della nostra vita. Non possiamo portarci dietro tutto, ma soltanto quello di cui abbiamo davvero bisogno per procedere lungo il cammino» (p. 8).
Insegna Viktor E. Frankl, anche lui appassionato scalatore, che l'alpinista è «in concorrenza e in rivalità soltanto con una persona e quella persona è lui stesso. Pretende qualcosa da se stesso, esige qualcosa da se stesso». Frankl parla poi del fatto che l'essere umano necessita della tensione interiore, tra se stesso e una meta che si prefigge.
L’equilibro dell’esigere da sé
Bisogna saper esigere il giusto da sé stessi. Esigere troppo ci scoraggia, esigere troppo poco ci annoia. «Quando, in un'escursione in montagna, stabiliamo una meta, creiamo in noi una sana tensione che ci fa bene. Se esigiamo sempre troppo poco da noi stessi, spesso nella nostra vita si insinua la sensazione di mancanza di senso. L'assenza di una meta impedisce che sviluppiamo davvero le energie che sono racchiuse in noi. La meta, però, deve essere scelta in maniera adeguata. Se ci poniamo obiettivi troppo ambiziosi, pretendiamo troppo da noi stessi. Se però non osiamo nulla, il viaggio della vita perde energia. La meta conferisce al nostro cammino una dinamica interiore che ci fa bene» (p. 9).
Nella camminate, non si arriva direttamente in cima. Guardare direttamente la cima ci potrebbe scoraggiare. Per questo è necessario porsi degli obiettivi parziali e intermedi: «Guardo soltanto alla meta che posso raggiungere ora. Se invece guardo subito la fine, la “cima”, ho la sensazione che non ce la farò mai. Se però mi prefiggo delle tappe, Allora ho la forza di arrivare fino all'obiettivo intermedio successivo» (p. 42).
Non mancano nel libro parole sul riposo, sulla pausa, sulla ricreazione, sulla sapienza del limite e della sosta. Scrive Grün: «La pausa è qualcosa di creativo. E fa bene concedersela… assaporo semplicemente il fatto di riposarmi, di non dovere fare nulla. Mi abbandono alla quiete» (p. 49).
L’equilibro consiste nel trovare un giusto ritmo di movimento e di riposo perché chi non si muove, si arrugginisce. Chi fa una sosta troppo lunga, perde l'energia della tensione.
«Così, anche nella nostra vita, c'è bisogno di un buon equilibrio tra sostare camminare, riposo e lavoro. In fondo è il ritmo prescritto dal nostro fondatore, Benedetto da Norcia, ai suoi monaci: ora et labora, il ritmo di preghiera e lavoro. Chi prega soltanto, ruota troppo intorno a se stesso. Chi lavora soltanto, sfrutta se stesso. E non di rado fugge da se stesso. Anche nel quotidiano abbiamo bisogno di fasi di riposo, per poterci rimettere al lavoro con nuovo piacere» (p. 52).
L’ultima Cima
Grün non trascura la riflessione sull’ultima cima, quella che raggiungeremo solo giungendo a Dio: «Su una cima posso salire. Ma a Dio non arrivo mai. Eppure sono sempre circondato dalla presenza di Dio e sono sempre in lui. Il mio proseguire verso l'alto diventa per me un'immagine che questo Dio è la meta di tutte le mie camminate e che, in fondo, sulla cima salgo davvero soltanto nella morte, quando vedrò Dio faccia a faccia» (p. 132).
In breve, questo libro è di gran lunga il più autobiografico di Anselm Grün, l'autore confessa di parlare delle idee che gli «sono venute camminando». La chiusura del libro è affidata alla Bibbia e all'esplorazione dei due filoni tematici nel testo sacro: il senso del camminare e il mistero della montagna.
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