Poche cose occupano il tempo della persona umana nei suoi traffici quotidiani quanto il denaro. La preoccupazione per il denaro obbliga a una riflessione evangelica che sappia cogliere il peso di tale elemento, chiamato da Gesù Mammona – un falso dio – nel vissuto quotidiano per saper dare ad esso il giusto peso e farne il corretto uso.
Data l'importanza del tema, si dovrebbe dire con l'A. del volume Il vangelo il denaro, André Naud, che il tema del dell'atteggiamento del cristiano di fronte al denaro è affrontato assai poco di frequente e che tale silenzio è grave e già di per sé pone un interrogativo.
Secondo l'A. il motivo per cui si affronta poco questo tema è che come umani tendiamo ad affrontare raramente i temi per i quali la riflessione si presenta in condizioni troppo difficili. E la questione del denaro è uno di questi temi. Riflettere sui soldi all’interno della vita spirituale pone una serie quesiti scomodi.
L'A., allora, si propone di discernere i passi del Vangelo che possono ispirare e rigenerare il nostro pensiero nel modo migliore, cosicché attraverso di essi possiamo chiarire poi i passi più sconcertanti.
La prima domanda che l'A. analizza è la seguente: il Vangelo propone la povertà come un ideale per tutti? Alcuni passi del vangelo e certa esegesi sembrano favorire una risposta positiva a questa domanda. Commentando ad esempio il vangelo del giovane ricco, Thaddée Matura sottolinea la necessità di non stancarsi della scomodità di questo Vangelo con una «esegesi addolcita» caricandolo su degli “eletti” e accettare la scommessa del testo che secondo Matura è questa: il cristiano deve accettare di essere turbato, sconvolto, di avere cattiva coscienza, di non essere mai in regola con un’esigenza inesauribile. Di parere vicino è Anche Jacques Ellul che afferma che Gesù deve accettare le parole di questo vangelo come un giudizio. Finché non abbiamo compreso questo giudizio, non siamo liberi. Finché non abbiamo ragguagliato la nostra vita a questo ordine preciso di Dio, rimaniamo sottoposti al denaro.
Ma la domanda che rimane dopo queste due esegesi è questa: è una buona strategia educativa presentare l'atteggiamento cristiano di fronte al denaro come un ideale che non è possibile avere?
Questi approcci, per quanto seducenti, sono incapaci di esprimere in modo vivibile perfino valido il pensiero evangelico sul denaro. Per questo è necessario percorrere un'altra via.
La prima cosa che l'A. sottolinea è il pericolo delle ricchezze. «Se il denaro non è in sé qualcosa di cattivo – tutt'altro –, è però qualcosa di pericoloso, proprio a causa dell'avidità eccessiva che può suscitare. Infatti esso perverte tutta la gerarchia dei desideri quando diventa, per colui che si lascia affascinare, il mammona di iniquità di cui parlava Gesù» (p. 29). Il denaro causa un’alienazione dall'essere all'avere.
Accanto alla suddetta presa di coscienza, bisogna avere chiaro che non è possibile leggere il vangelo come un'ideologia che si dedicherebbe alla «celebrazione della povertà di per sé. Proprio al contrario, Gesù appare come un essere normale, capace di rallegrarsi e di celebrare. Contemporaneamente si preoccupa di migliorare le condizioni di vita più svantaggiati di coloro a cui si avvicina (p. 33).
Quello che dobbiamo cogliere dall'insegnamento di Gesù è che il rapporto con il denaro coinvolge il nostro rapporto con Dio e che «il denaro non è un oggetto senza uno sfondo spirituale». Dobbiamo stare in guardia contro la sua tirannia. Dobbiamo optare per Dio in modo netto e senza equivoci.
Un altro pensiero che l'A. sottolinea è la dimensione sociale del denaro. Per Gesù, l'uomo non è mai solo con se stesso e con Dio quando si tratta del denaro. È sempre ugualmente posto davanti agli altri e in particolare dinanzi ai più bisognosi, quelli che il Vangelo chiama con un termine generico: i poveri.
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