Chi non si è mai soffermato su apparenti incongruenze tra i racconti dei vari evangelisti? Già il fatto di soffermarsi a costruire i fatti dietro ai racconti esprime un errore interpretativo e di comprensione dell’intenzionalità dei vari narratori per i quali, come spiega Albert Vanhoye, «la materialità dei fatti è meno importante del loro significato religioso» (19).
Ognuno dei quattro vangeli è molto di più di alcuni dati raccolti ed esposti dei fatti e dei detti del Signore. C’è una visione d’insieme teologica che dona a ogni vangelo il suo colore particolare. Per questo, nel primo capitolo del libro La passione secondo i quattro vangeli, il già menzionato Vanhoye avverte che «isolare un particolare dal suo contesto per inserirlo in un altro racconto significa impedirgli di esprimere ciò che voleva esprimere e, nello stesso tempo, turbare la prospettiva dell’altro racconto. È dunque preferibile rispettare l’orientamento particolare dei singoli racconti evangelici» (19), affidando all’analisi letteraria il chiarimento della composizione specifica di ogni vangelo.
In questa linea, il primo capitolo del volume analizza la passione nei vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) segnalando differenze, somiglianze e significato. Il secondo capitolo analizza la passione in Giovanni. Il terzo è un capitolo teologico che si propone di mostrare la rilevanza dei racconti della passione per l’oggi. Il quarto capitolo si rivolge in modo particolare a quanti si dedicano alla catechesi e all’animazione liturgica.
Uno sguardo ai racconti della passione mostra l’importanza che i primi cristiani hanno dedicato alla memoria passionis riguardo alla quale «non solo non ne hanno lasciato svanire il ricordo, ma l’hanno gelosamente conservato ed approfondito, come testimoniano eloquentemente la lunghezza e la qualità dei racconti evangelici». «L’attenzione dedicata alla Passione caratterizza la rivelazione di Cristo e ne conferma l’autenticità divina. Il messaggio cristiano non è una costruzione mitica che consenta di dimenticare il reale. Non ci orienta verso sogni vaporosi. Dio non elude la realtà dell’esistenza, neppure se sono pesanti da portare. Le valorizza, non ci aiuta ad evitarle. C’insegna ad aderirvi più pienamente, a stimarle, a prestare loro la massima attenzione e a trarne profitto. La luce della risurrezione rivela il valore della Passione e valorizza così la nostra vita reale» (22).



Inoltre, mentre gli altri racconti di Gesù sono presentati in maniera episodica, la Passione «costituisce un insieme coerente, solidamente articolato» (23), secondo la specificità della personalità di ogni evangelista. Così in Marco abbiamo l’attenzione alla proclamazione dei fatti; in Matteo un racconto ecclesiale e dottrinale; in Luca un racconto personale e parenetico.
Per quanto riguarda Giovanni, Ignace de la Potterie evidenzia come l’autore del quarto vangelo è «il solo che ci descrive l’impressione di maestà che Gesù fece su coloro che venivano ad arrestarlo ed il breve dialogo in cui Anna lo interrogava sulla sua dottrina; ma si resta colpiti soprattutto dallo spazio eccezionalmente ampio che riserva al processo romano davanti a Pilato» (74). Il biblista gesuita concorda con A. Loisy nell’affermare che «nel quarto Vangelo la Passione viene raccontata nella prospettiva della gloria del Cristo: è Gesù glorificato nella morte».
In ottica teologica, Christian Duquoc specifica che «i racconti della Passione non sono cronache imparziali, perché in essi la morte di Cristo non è più un fatto inintelligibile per i discepoli» (95-96). Gli evangelisti, in altre parole, leggono la Passione alla luce della risurrezione e da quella prospettiva ne colgono il sensus plenior.
Alla luce delle letture della passione dei singoli vangeli, Duquoc presenta alcune prospettive interpretative del senso della passione di Cristo. Nel XIV e XV secolo la sensibilità doloristica creò una devozione alla croce che glorificò in Gesù la sofferenza.

La passione secondo i quattro vangeli
La passione secondo i quattro vangeli
Albert Vanhoye, Ignace De La Potterie, Christian Duquoc, Étienne Charpentier
Nel XIX secolo, fu la volta dell’esaltazione dell’obbedienza e della rassegnazione di Gesù.
Nel XX secolo, dolorismo e rassegnazione sono lontane dalla sensibilità dei cristiani. Al loro posto sono sopraggiunti pensieri secolari come quelli di Bonhoeffer. «I cristiani meditano la debolezza di Dio in questo mondo e, invece di scorgersi una ragione di scoraggiamento, ne gioiscono, perché il Dio che ci aiuta è lo stesso Dio che ci abbandona. L’assenza apparente di Dio nella nostra società favorisce questa nuova interpretazione della Passione. In Cristo, Dio si è lasciato inchiodare sulla croce, in modo che il campo fosse libero per l’uomo. Egli muore per noi, e tale morte ci rende aduolti: noi esistiamo in questo mondo come se lui, Dio, non esistesse. La sua assenza è la sua forma di presenza, perché coincide con la nostra libertà» (109).

Un’altra lettura interpretativa è quella del Gesù rivoluzionario. Egli è morto per aver violato l’ordine costituito e la contestazione da lui avviata perdura nei secoli. La sua Passione è «il primo atto di liberazione, è lotta contro ogni forma di destino» (110). 
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