Premessa
Parlare degli apostoli non è mai parlare solo degli apostoli, ma di tutti i battezzati, specie se a parlarne è la dote rara di Carlo Maria Martini capace di far riverberare le Scritture nelle vite dei lettori (e degli ascoltatori) delle sue lectio.
Il volume Gli apostoli. Uomini di pace e di riconciliazione che raccoglie meditazioni risalenti al 1984 conserva una grande attualità perché guarda alla realtà degli apostoli da una prospettiva che interessa ogni cristiano: la prospettiva della propria chiamata (e il discernimento della stessa), la missione e l’identità comunitaria.
Carlo Maria Martini parla di ogni “apostolo” dialogando con l'esperienza degli apostoli di Gesù. Prima di parlare delle preziose indicazioni che il Martini presenta in questo volume, introduciamo il testo seguendo alcune piste che il Cardinale sviluppa.
Gesù e l’esperienza del rifiuto
Verso l’inizio del volume, Martini analizza, a partire dal testo di Vangelo di Luca 4, 16-30, la coscienza apostolica che troviamo nello stesso Gesù e che ci invita a esaminare la nostra di coscienza apostolica.
Dinanzi al rifiuto che Gesù subisce, molti di noi si sarebbero scoraggiati, impauriti e irritati. Questa è la coscienza apostolica carente o incerta: quella che si misura sulla risposta degli altri. Quando la risposta è eccezionale, ci si sgonfia e va tutto bene, ma quando la risposta è negativa, si ha paura e nascono le ansietà e i dubbi. Gesù è un modello di coscienza Apostolica perché va diritto per il suo cammino e, come se niente fosse stato, riprende altrove la sua predicazione paziente e ordinata della parola (cf. pp. 20-21).
Pietro e Paolo
Dall'altro lato della coscienza apostolica, abbiamo l'apostolo Pietro. Il principe degli apostoli, pur avendo tanto desiderio di essere fedele a Gesù nelle contrarietà, quando le situazioni si fanno dure, si ritrae, ha paura, tradisce e fugge. Di lui dice Martini: «Pietro è sincero ma non è vero. In lui c'è una consapevolezza apostolica incerta e oscillante, e non lo sa».
In contrasto con la titubanza di Pietro, possiamo vedere la convinzione apostolica di paolo, una convinzione che nasce dopo la delusione vissuta prima ad Antiochia, quando Paolo, entrato in crisi, dovette ritirarsi molti anni prima di essere ufficialmente chiamato dalla Chiesa. È la coscienza di essere chiamato dallo Spirito Santo che darà a Paolo la confidenza nella sua missione nonostante i rifiuti. La riflessione del Martini mostra quanto sia delicata la coscienza apostolica e quanto si debba pazientare e mettersi in gioco per vivere una sua maturazione.
Con grande delicatezza e acume, Martini ci introduce nelle esperienza interiore degli apostoli. Così, ad esempio, il terzo capitolo costituisce una preziosa esplorazione del mondo dei paradossi interiori di Paolo come apostolo.
Paolo parla del cosiddetto paradosso apostolico che vede un contrasto grande tra una situazione esteriore e una realtà interiore. La situazione esteriore è fragile, debole, stanca, ma la situazione interiore vive e manifesta la straordinaria forza di Dio.
Commentando 2Cor 4, 16, Martini mostra come Paolo riprenda la sua persuasione psicologica che potrebbe trovare un contrasto nel fatto che non è solo fragile ma che sta invecchiando, è più stanco, più irritabile, più portato alla depressione. Tuttavia si vede come ha imparato a distinguere tra ciò che sente nella sua sensibilità immediata e ciò che in realtà gli accade nell'intimo. È giunto a quel discernimento che coglie la consolazione come qualcosa di molto profondo, pur nella noia e nell'agitazione esteriore dei sentimenti (cf. p. 61)
Le cause dell’offuscamento della coscienza apostolica
L'analisi del Martini avanza approfondendo le radici battesimali della coscienza apostolica, radici che vedono nell'illuminazione ricevuta dal credente lo spunto stesso della sua missione.
La riflessione poi prosegue guardando i momenti di abbattimento, gli offuscamenti della coscienza apostolica. Qui Martini si sofferma, con grande delicatezza psicologica e teologica al contempo, a esaminare le cause e le situazioni psicologiche, affettive, emotive nelle quali il rapporto centrale con Cristo si offusca, Tenendo presente che nessuno, per quanto possa essere maturo nella fede, è esente di questo rischio.
La prima causa dell'offuscamento è la pigrizia nella preghiera. Questa pigrizia non si esprime soltanto nel sottrarsi al tempo della preghiera, ma nel «Non passare dalla meditazione alla contemplazione. Non c'è niente che il demonio tema di più dei momenti di vera tensione contemplativa e perciò fa di tutto per allontanarcene» (92).
Martini mette in chiaro che «la pigrizia nel superare questo gradino della preghiera e certamente una delle cause importanti per cui si offusca in noi la coscienza apostolica, pur se leggiamo molti libri, se conosciamo bene la pastorale, se abbiamo grandi intuizioni pratiche» (93).
La seconda causa è la pigrizia nella disciplina della corporeità. Non si tratta soltanto della disciplina specifica della castità o quanto riguarda la struttura e l'ordinamento sessuale della corporeità. Si tratta di molto di più due punti «della fantasia, delle passioni, dei gesti, degli atteggiamenti, dell'uso del tempo, del cibo, del sonno. Il non curare un'attenta disciplina in queste cose trattino che è poi equilibrio, padronanza di sé trattino nuoce, e Talora in forma abbastanza rilevanti, all'emergere della nostra coscienza apostolica» (94).
Su questo punto, Martini è molto concreto E fa trapelare La Sapienza dell'esperienza. Scrive, infatti, che «ci sono, ad esempio, dei disordini nell'ora di coricarsi, nel prolungare indefinitamente il tempo senza riuscire mai ad andare a dormire all'ora giusta, che guastano fatalmente l'equilibrio» (95).
La terza causa dell' offuscamento e uno sviluppo culturale insufficiente. In questo caso non basta la buona volontà e una vita di virtù. Avendoci fatto come uomini, dotati di corpo, intelligenza e ragione, il Signore non ci chiama a essere suoi servitori se non attraverso lo sviluppo anche di ciò che possediamo. Lo sviluppo culturale insufficiente è causa di offuscamento della coscienza apostolica soprattutto nella complessità dell'agire pastorale in cui le cose non vanno spesso come avremmo voluto. La cultura ci aiuta ad acquisire una intelligenza vera dei fenomeni. Martini qua parla di «mancata conversione intellettuale» (97). Questa conversione a volte è sacrificata per un insostenibile spiritualismo che fa meno della conoscenza.
Un'altra causa è una sottile ipocrisia della vita. Martini parla di una sottile ipocrisia perché si tratta solitamente di «una vita sostanzialmente buona, vissuta in un ambiente di impegno ma che comporta, forse per l'altezza delle ideali che vengono proposti, una distanza tra il dire e il fare. Se questa distanza non ci preoccupa ed è lasciata andare, finisce con il logorare la coscienza apostolica: la sottile ipocrisia un terreno tranquillo che è, a piccole dosi, inquina l'esistenza di Fede» (100).
L'ultima causa che Martini elenca è una mancata appropriazione della centralità del kerygma. Appropriazione vuol dire assenso reale, non semplicemente nozionale. Martin invita a tenere presente una domanda. «Che cosa significa riconoscere la centralità del kerygma, Che cosa significa riconoscere che l'Eucaristia è al centro, che il vangelo è il nucleo originario di tutto il fatto religioso cristiano?» (102).
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