... Al netto di quanto accaduto possiamo dire in definitiva che
Dio non delude. Ha una ostinazione incredibile per la tua felicità e le proverà
tutte per fartici arrivare.
È che se ti metti di traverso sarà costretto a ricalcolare
il percorso come un navigatore satellitare, ma questa cosa ti farà perdere
tempo e forze. Il Suo progetto su di te forse sarà diverso, forse molto
diverso, da quello che avevi in mente.
A tratti sarà incomprensibile. Ma fidati: sarà sicuramente
il migliore per te, e non perché tutto andrà sempre bene, ma perché sarà il
tuo. Tanto che a un certo punto scoprirai che non ne volevi un altro.
Questo è successo anche a noi quando, facendo i conti con la
nostra infertilità, dopo aver pianto lacrime e sangue, abbiamo iniziato a
sospettare che dietro a quella che poteva sembrare una maledizione, o quanto
meno una privazione, potesse nascondersi in realtà qualcosa di più grande.
E, infatti, dopo aver adottato i nostri due bambini –
talmente belli che se li avessimo fatti noi non sarebbero stati altrettanto, e
talmente simili a noi che non si capisce proprio come ci siamo potuti combinare
così bene – possiamo affermare con convinzione che la nostra sterilità era la
cosa migliore che potesse capitarci, la cosa migliore per noi. Conoscendoci,
non poteva andarci meglio di così. Chi ci conosce lo sa.
Allora ringraziamo Dio per essere stati condotti attraverso
questa porta stretta a scoprire qualcosa di insospettabile, ad intraprendere un
viaggio galattico fuori e dentro di noi.
Poi, se è vero che ogni genitore desidera il meglio per i
propri figli, allora noi vogliamo due cose per Miguel e Mosè: la prima è la
Vita Eterna, e la seconda è che un giorno anche loro possano arrivare a dire
che la loro storia è la cosa migliore che potesse mai capitargli. Ma non perché
è una storia a lieto fine; non perché alla fine sono stati adottati ed hanno
avuto due ottimi genitori (ottimi, poi!? Noi?!); e neanche perché tutto gli
andrà sempre bene. Ma, semmai, perché questa storia, proprio questa e non
un’altra, è la LORO storia.
Sarebbe stupendo un giorno sentirli affermare che – al netto
delle contraddizioni, al netto di tutte le cose che non gli tornano, al netto
delle domande a cui non hanno ancora trovato risposta – non vorrebbero una
storia diversa da questa.
Il desiderio più grande che ci abita, forse l’unica vera
aspettativa che ci sforziamo di avere come genitori, è che un giorno possano
scoprire la perla preziosa nascosta dentro il coccio duro della loro storia.
Perché un coccio duro ce l’ha, inutile negarlo. E prima o poi, sia Miguel che
Mosè, sentiranno
la stizza, la rabbia e la voglia di sfondarlo, questo coccio
duro. E allora forse ci staranno male. Tanto male, forse. Ma nessuno potrà
evitargli questa parte. Gli toccherà e basta.
Per una mamma è abbastanza struggente dire queste cose. È
drammatico sapere che non c’è niente che potrai fare per evitare ai tuoi figli
i passaggi stretti, le curve pericolose, il dolore.
Credo però che questo significhi avere un senso felice della
realtà. Dove felice non significa facile.
Perché è lì, incontrando il duro, che i nostri figli avranno
l’opportunità di trovare la perla: cioè il fatto che sono belli e che sono
fatti così-e-così proprio perché vengono da quella roba là. E che quella roba
là gli serve e non va scartata, perché può diventare qualcosa di molto
importante, direi cruciale.
Quella roba là, mentre gli farà male, in realtà gli starà
rivelando la loro missione.
Quindi è solo attraverso questo guado impetuoso che potranno
approdare all’altra riva: diventare veramente se stessi, pienamente se stessi.
Autonomi. Felici.
Un nostro carissimo e saggio amico dice che l’amore non è
esotico ma esodico. Cioè l’amore è un esodo. Lo stiamo imparando proprio
adesso. Sarà un caso che il nostro secondo figlio si chiama Mosè? Io non credo.
Infatti il nostro Mosè ogni giorno ci fa uscire da noi stessi, dalla nostra
zona di comfort… non è sempre emozione a manetta, ammettiamolo, ma dicono che
questo sia l’amore vero: un esodo.
E poi è vero: uscire fuori dallo schema conosciuto, solo
così abbiamo potuto scoprire qualcosa che andava oltre le nostre migliori
speranze, e che se fossimo stati lì ad incaponirci con la “gravidanza a tutti i
costi” non avremmo mai conosciuto.
E la cosa ancor più straordinaria è che l’Autore della vita,
nella sua sterminata fantasia, ha ben pensato di farcire i nostri giorni con
sapori e odori di una terra lontana, meravigliosa, di cui con questo diario ci
sembra di aver raccontato quasi niente.
Ebbene, la Colombia ci manca, ci manca tanto. Ci mancano i
suoi colori, i suoi suoni, i suoi ritmi di vita rilassati e assolutamente
allegri, la sua profonda umanità, il suo cuore grande. Soprattutto ci manca
quel tempo esclusivo, per noi e basta. Quel tempo così prezioso in cui si è
formata la nostra famiglia, lontano da tutto, da tutti, dai genitori, dagli
amici, dalle persone più care, ma cogliendo il meglio di questa opportunità,
senza incursioni, senza invasioni di campo, senza il “caldo” delle proprie
sicurezze. Per costruirne altre, di sicurezze.
Ringraziamo Dio perché ha ascoltato il grido inconsapevole
dei nostri figli, e gli ha donato una famiglia: nonni, zii e cuginetti, una
mamma e un papà. Che saremmo noi.
Poteva andargli meglio? Forse. Ma questo è, quindi va bene:
entreremo in orbita, ne siamo sicuri. Malgrado noi.
TRATTO DA: Christian Cinti - Michela Serangeli, Questa navicella sta entrando in orbita. Diario di bordo di una famiglia adottiva, Tau Editrice
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