«Che cosa è dunque il tempo? Se nessuno me ne chiede, lo so
bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so». Celebri
sono le parole di Agostino sul tempo, quella realtà che non possiamo negare
perché navighiamo e anneghiamo in essa, ma che fatichiamo a descrivere perché
costituisce piuttosto uno dei trascendentali di qualsiasi nostro sapere, per dirla
con Kant.
In un tentativo ardito tra filosofia e teologia, Kurt Appel
affronta il tema del tempo nel suo rapporto a Dio in un saggio impegnativo e
ricco uscito in traduzione italiana dal tedesco per i tipi della Queriniana con
il titolo Tempo e Dio. Aperture contemporanee a partire da Hegel e Schelling.
L’eternità gelida
Nella metafisica di Parmenide, il tempo è ritenuto apparenza
e l’eternità priva di tempo è considerata l’essenza vera dell’essere. L’eliminazione
del tempo, però, è una scommessa troppo alta che non dice la realtà dell’essere-nel-mondo,
anzi, la contraddice sotto tanti aspetti negando il movimento, il divenire, il
progresso. In una parola, la negazione del tempo nega la vita e nega, in
definitiva l’essere.
La visione di Parmenide non fa parte solo di un lontano
futuro di filosofia presocratica, ne possiamo vedere tracce nella visione dell’eternità
intesa «mitologicamente come passato eterno del tempo o cronologicamente come un
“ora” eterno», piuttosto che la «trasformazione del tempo».
Se, però, «tutto viene annichilito in favore di un eterno
presente privo di tensioni e “onnireale”, allora ciò che resta è un’assenza di
vita, una situazione mostruosa e infernale simbolizzata in maniera visionaria
da Dante nella Divina Commedia attraverso l’immagine del ghiaccio» (9).
Il tempo “sincronizzato” con l’eschaton
Nella comprensione biblica, l’eternità non esprime una
contrapposizione al tempo (come spiega Bruno Forte nel suo L’eternità nel
tempo). Il tempo è lo spazio della manifestazione dell’eterno. Paul Ricoeur
spiega che la Bibbia «può
essere letta come il testamento del tempo nei suoi rapporti con l’eternità
divina».
L’Eterno
entra in rapporto con il tempo e il tempo si polarizza orientandosi verso l’Eterno.
«Contro l’idea di un andamento storico o di un concetto di tempo lineari che
emergono dalla storia cronologica, Metz pone la concezione [biblica e
teologica] di un tempo circoscritto dall’éschaton e non dal chrónos,
un istante “in cui pertanto vi sia tempo per il tempo”. Egli reclama una
temporalizzazione del tempo in cui esso non funge come sfondo spazializzato
degli eventi, bensì riceve, per mezzo della memoria passionis, un “segno”
escatologico la cui narrazione sfuda la plausibilità dei fatti come creati dai
potenti della storia» (13).
In altri termini, notiamo nella Bibbia una
cristologizzazione dell’esperienza dell’Eterno nel tempo in modo che – come la
mette Karl Barth - «Gesù in quanto è il Cristo, è il piano a noi sconosciuto,
che taglia perpendicolarmente, dall’alto, il piano a noi conosciuto».
Per una teologia del tempo
Nel tentativo di costruire una teologia del tempo, Appel
critica «l’immagine crudele di un tempo puramente cronologico che progredisce
all’infinito divorando tutto, incluse la libertà e la responsabilità».
Egli mette anche in discussione «l’immagine di un’eternità
statica e congelata che rende altrettanto inoperosa la libertà», vista quindi
come un «dopo la storia».
Tale svolgimento punta verso l’idea centrale del lavoro che
è quella dell’elaborazione del tempo «come “atto performativo” (performance,
Inszenierung, mettere in scena) del nome di Dio, porterà a trovare il
tempo reale nella sfera dell’essere, ossia nella natura fisica, bensì nell’irrapresentabile
nome di Dio, Jhwh» mostrando che «il
Dio della Bibbia (Jhwh) significa
la fine del tempo cronologico-fisico e il principio di un tempo che risiede nel
mondo del testo canonico, in quanto quest’ultimo non rimanda più al nostro
spazio-tempo, ma al nome di Dio e all’apertura radicale e alla libertà ad esso
connessa» (22).
Lo sviluppo concreto dell’opera avviene in sette capitoli di
cui il primo (prologo) e l’ultimo sono teologici e gli altri, centrali, sono
filosofici. Il secondo capitolo riflette sulla temporalizzazione dell’essere e
il congedo di un tempo vuoto nella monadologia di Leibniz. Ad esso fa seguito
il dialogo con l’istanza kantiana dove il tempo è visto come temporalizzazione
della libertà nella critica della metafisica di Kant. La prospettiva seguente
considera il tempo come temporalizzazione della finitudine in Essere e tempo
di Heidegger. Il quinto capitolo considera il tempo come temporalizzazione
di un futuro promettente nella filosofia positiva di Schelling. Il sesto
capitolo riflette sul tempo come esistenza libera della realtà nella Fenomenologia
dello spirito di Hegel.
Il settimo capitolo riprende la considerazione teologica
mettendo in evidenza come già dall’inizio della Bibbia «il tempo funge come
tema centrale della Scrittura. La creazione in sette giorni è creazione del
tempo» (147).
Nella riflessione sulla prima pagina di Genesi, Appel
evidenzia come il settimo e rispettivamente l’ottavo giorno rappresentano
giorni della festa divina. Posto, poi, che l’ottavo giorno coincida con il
giorno primo, possiamo dire che la creazione è stata pensata in apertura alla
festa.
Quanto poi al nome di Dio, presentato in modo solenne in Es
3,14 e 34,6ss. viene collegato a una storia concreta e non a una definizione
statica. «Il significato del nome di Dio è strettamente legato al tempo, sicché
il cammino verso il tetragramma conduce attraverso una verbalizzazione di Dio:
Jhwh non è dunque un sostantivo (né come soggetto né come oggetto), ma un verbo»
(154).
Inoltre, come dimostra G. Borgonovo, Es 32-34 si trova al
centro della Torah e quindi di tutto il Tanakh. E il testo di Es
34,6 è l’unica volta in tutta la Bibbia in cui il nome di Dio viene raddoppiato
dando a quest’espressione una solennità particolare. Dio è il Dio del tempo,
che entra nel tempo, che presenta il suo nome come futuro - «Io sarò colui che
sarò» - un futuro che si realizzerà nella storia nella pienezza del tempo dell’avvento
del Figlio il quale annuncia e incarna nel suo dono totale nel tempo il «è
compiuto» definitivo che si manifesterà nella sua pienezza e senza più veli
nell’eschaton quando Dio sarà tutto in tutti e in tutte le cose, incluso il
tempo.
Riassumendo i grandi spunti del volume possiamo indicare due
linee complementari: una filosofica e una teologica.
L’idea filosofica è la seguente: «Il tempo, in quanto
supplemento aperto al tempo cronologico, è soggetto. Il tempo aperto è Dio e
Dio è l’apertura del tempo. Questa tesi è stata formulata nella maniera più
chiara nella filosofia positiva escatologica di Schelling e nella proposizione
speculativa di Hegel, che rende inoperosi/conserva&eleva (aufhebt)
tutti i riferimenti linguistici categoriali ed esprime che all’apertura del
tempo soggettuale si accompagnano uno spostamento/differimento, un sottrarsi,
una frattura delle rapprsentazioni oggettuali e così un’alterità che
costituisce il tempo nel suo complesso».
L’idea teologica è la seguente: «Il tempo in quanto tempo
soggettuale è il testo canonico, cioè la sacra Scrittura. Il suo contenuto è la
storia del settimo giorno di Jhwh, che giunge a noi festosamente. L’essere è
dato nell’apertura soggettuale del tempo. Questo rimanda al nome
impronunciabile di Dio, che si sottrae a ogni rappresentazione diretta e che
nella Bibbia viene mostrato con il tetragramma Jhwh. Jhwh non è un sostantivo, bensì
il tempo nel suo accadere. […] Nel nome di Dio il tempo presente si capovolge
nella testimonianza di un futuro anticipato, che non è più definibile
cronologicamente. Questa testimonianza è il canone che mette così in scena il
passaggio del tempo coniato fisicamente (il tempo del presente progredisce
momento per momento) nel tempo del nome di Dio. Esso non è nient’altro che l’accadere
(parusía) di Jhwh Jhwh, un ad-venire che viene ricordato e recitato
solennemente in maniera sempre nuova nello Spirito Santo e per mezzo di lui».
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