Esce in libreria in questi giorni il libro di una cara amica, Maria Marzolla. L'uscita in prossimità della festa della mamma non è stata programmata, ma è stata accolta come una felice Dio-incidenza, per un libro che parla appunto di attesa, di maternità e della bellezza - non esattamente facile, ma proprio per questo bellezza - dell'attesa, della nascita di un figlio con la concomitante nascita di due genitori. Vi lascio con la mia prefazione a Due occhi in più, edito da Tau Editrice.
*
la coppia come grembo
Ho rimandato per vari
impegni la stesura di questa Prefazione e, senza averlo programmato, mi sono
trovato a redigerla oggi, il giorno della solennità dell’annunciazione della
beata Vergine Maria.
L’odierna festa non può
che dare alla lettura che faccio del libro di Maria Marzolla una prospettiva
divina. Una gravidanza ha salvato il mondo!
Il sì della vergine
Maria alla Vita nel suo grembo, in circostanze per niente ideali per accettare
di essere madre, è il paradigma della grandezza che potenzialmente ogni
esperienza di gravidanza e di maternità porta con sé.
L’annunciazione a Maria
ci manifesta il bellissimo scandalo: Dio stesso ha avuto bisogno della donna
per dire il suo amore in modo carnale. Scrive il biblista Jean Galot: «In
Maria, la santità assume un volto femminile, volto senza il quale la santità
divina non potrebbe rivelarsi sotto forma umana in tutti i suoi aspetti». A
partire dall’annunciazione a Maria, il sì di Dio non lo possiamo più concepire
senza il sì dell’umanità pronunciato dalle labbra di una ragazza che ha detto
sì a «due occhi in più».
Come Maria che disse il
suo sì all’incarnazione, ogni madre, anzi – come ci fa capire l’autrice con
immensa delicatezza nel suo testo – ogni madre e ogni padre che si aprono alla
vita possono diventare grembo di un miracolo, il miracolo di una vita nuova, di
un progetto unico e irrepetibile d’amore che riflette un sogno di Dio pronto
per diventare un segno. Che grande mistero!
Parlare di grembo,
mi permette di collegare questo incipit non programmato al motivo originario
con il quale desideravo introdurre quest’opera. Stavo rileggendo un’opera sul
celeberrimo quadro Il ritorno del figlio prodigo di Rembrandt e caddi su
un particolare che mi ha stregato.
Sapevo già che il quadro
raffigura il Padre misericordioso con tratti materni e paterni. Questi tratti
complementari sono chiarissimi nelle due mani che accolgono il figlio: con una
mano stringe, con l’altra accarezza; con una mano sostiene, con l’altra
consola; con una accoglie, con l’altra ricrea, crea nel figlio un cuore nuovo,
una dignità ritrovata, una coscienza filiale.
Ma il particolare che
non avevo mai notato – e non a caso l’interpretazione è stata offerta, nel
libro che leggevo, da una donna – è che la testa del figliol prodigo somiglia
alla testa di un bambino appena nato. La donna, che partecipava a una
riflessione di gruppo attorno al quadro di Rembrandt, aveva detto: «Questa è la
testa di un bambino appena uscito dal grembo della madre. Guardate, è ancora
bagnata e il viso è ancora come quello di un feto».
Il ritorno del figliol
prodigo non è solo il ritorno alla casa del Padre, ma è un ritorno al grembo
del Padre-Materno! Lì, in quel grembo ha la possibilità di rinascere alla
propria dignità filiale.
La nascita è un fatto
naturale, ma la nascita e la crescita di un essere umano è speciale,
richiede molto più di un “incubatrice” attrezzata, richiede un grembo
tenero. L’essere umano ha bisogno della tenerezza per nascere e rinascere. Il
fondamentale motivo della tenerezza non solo è presente nell’opera di Maria
Marzolla, ma è l’atmosfera che teneramente, spontaneamente e tenacemente
avvolge il lettore invitato a camminare con l’autrice e con il suo sposo
nell’esplorazione dei dettagli dello stupendo quadro dell’attesa e della
realizzazione della promessa della vita.
L’autrice ha una penna
delicata e carismatica che permette alle mamme di fare memoria e agli uomini di
entrare nello sguardo di una madre. Senza trascurare minimamente le fatiche,
quello che risalta dall’attesa e dall’accoglienza della vita è la bellezza che
due occhi in più sono venuti al mondo. «La maternità – scrive Marzolla –è
ricchezza, è la fecondità dell’amore. È il più bel viaggio che si possa
intraprendere, ma anche il più impervio». E ancora, parlando del tempo della
gravidanza: «Di settimane nella vita ce ne sono tante, ma quelle quaranta le
ricorderemo per sempre».
Ci sono lacrime, ci sono
crisi che colgono la coppia ignara di quanto sia davvero impegnativo accogliere
una vita, ma ciò che rimane e premia è la gioia. E Marzolla, tre volte madre,
confessa: «Anche se da milioni di anni il miracolo si ripete, quella gioia
continua ad essere nuova ed eternamente giovane».
La contemplazione del
miracolo naturale accresce spontaneamente per entrare nel miracolo
soprannaturale al quale i genitori diventano partecipi: «È il Dio Creatore che
ci fa cre-attivi ed in quel preciso istante è come se il Padre ci rendesse
co-autori del Grande Dipinto, aggiungendo una tessera al puzzle della
Creazione». Le madri e i padri sono i collaboratori di Dio che si fanno
strumento vivo e vivificante che trasmette tenerezza a persone che sì, sono
nostri figli, ma sono anche e soprattutto figli di Dio, affidati a noi per
amarli per lui e, con la sua grazia, come lui.
Fragilità e forza, gioia
e fatica, attesa e incontro… tutti questi paradossi fanno capire che il compito
della maternità e della paternità è anche una grazia che, per dirla con san
Paolo, ci è data «in vasi di creta, perché appaia che questa potenza
straordinaria viene da Dio e non da noi» (2Cor 4,7).
Contribuendo alla
nascita, rinasciamo anche noi, assolvendo il compito dell’umanizzazione perché,
come acutamente puntualizzava Neruda: «Nascere non basta, è per rinascere che
siamo nati». E così, vi lascio alla lettura di queste delicate pagine con le
parole stesse di Maria Marzolla: «È proprio durante il viaggio che ci si
riscopre viaggiatori e così come quando si aspetta e nasce un figlio che si
diventa genitori. L’immagine più bella per descrivere la genesi di una mamma e
di un papà è quella di un vaso di terracotta sul tornio che con incredibile
pazienza e maestria viene forgiato dall’artigiano. All’inizio è un oggetto
grezzo, ruvido e crudo che dopo vari passaggi diventa resistente, liscio ed
inizia ad essere smaltato e decorato, prima con linee e motivi più semplici e
grossolani e poi con tratti più raffinati e definiti. Alla fine splende e
contiene, proprio come un genitore».
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